mercoledì 30 giugno 2021

Spalato una città...un palazzo

Palazzo di Diocleziano a Spalato, particolare del peristilio (foto Carlo Nicotra)

Il 15 settembre 1891 il medico / viaggiatore digionese Albert Robin, ospite a bordo del lussuoso panfilo Namouna sbarcava nel porto di Spalato, tappa di una crociera che, percorrendo la costa dalmata, ne toccava alcuni dei siti culturalmente più significativi. La visita alla città, seppur effettuata in tempi ridotti, consentì al visitatore, di coglierne i significati profondi, comprenderne il genius loci, l'anima palese che da sempre ne aveva segnato gli spazi urbani e le antiche pietre, permeandone l'intima natura e tessitura. Scrive laconicamente ma efficacemente Robin sul suo diario di viaggio:

...Spalato è ancora il palazzo di Diocleziano, tante volte descritto; è una città nel palazzo d’un solo uomo. Presso la cinta, dietro alle vecchie mura, sono state costruite delle case; il tempio di Giove è una cattedrale...

Spalato, l'attuale Split, importante città industriale e scalo portuale della costa croata, rimane tuttora profondamente legata al sito ove, tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C. Diocle, comandante di cavalleria proveniente da una famiglia dalmata di umili origini, acclamato imperatore nel 284 con il nome di Cesare Gaio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto Iovio, fece costruire il palazzo che, nel corso della storia, venne sempre accomunato alla sua figura. 

Planimetria ricostruttiva del palazzo 


L’eccezionale edificio, presentava un impianto architettonico ispirato alle strutture militari dei
castra stativa presenti lungo il limes romano ma con gli elementi edilizi riportati ad una scala monumentale ed arricchiti da un apparato decorativo degno delle più sfarzose dimore imperiali; il complesso, fortificato dalle possenti mura in opus quadratum, venne delimitato da un perimetro trapezoidale e organizzato, nell'assetto planimetrico interno, con la “classica” intersezione assiale del cardo e del decumano. I quattro lati murati presentavano le dimensioni di m. 157,50 sul lato sud lungo la riva del mare, m. 150,95 a nord, 191,25 ad est, 192,10 ad ovest; tre delle quattro porte erano protette da una coppia di torri ottagone, la Porta Aurea o Porta septemtrionalis (a nord), la Porta Argentea o Porta orientalis (ad est), la Porta Ferrea o Porta occidentalis (ad ovest); la Porta Aenea, bronzea, o Porta meridionalis aggettante sul mare, a sud, non era protetta da torri. L’apparato murario, la cui altezza raggiungeva i 24 metri e lo spessore di 2 metri, era difeso da ulteriori 10 torri a pianta quadrata distribuite lungo il perimetro. 


Immagine ricostruttiva del complesso palaziale.

Le maggiori emergenze architettoniche del complesso, il tempio di Giove e il mausoleo a pianta ottagona, si incardinavano, analogamente agli spazi delimitati dal peristilio e dal vestibolo, nel punto gerarchicamente più importante del palazzo, all'incrocio tra gli assi viabili del cardo e del decumano; la sala circolare del vestibolo fungeva da collegamento tra gli spazi pubblici delimitati dal peristilio e le residenze imperiali. 


Sala del vestibolo, ingresso nella parte privata del palazzo (foto Carlo Nicotra)

L'evoluzione in chiave urbana del palazzo, avvenuta dopo il VII secolo, portò alla trasformazione del complesso tempio/mausoleo in cattedrale cristiana (San Doimo), ma anche alla conferma della naturale vocazione di spazio di pubblica aggregazione dell'area del peristilio.


La porta aurea ( septemtrionalis) in un'immagine del 1910. 


Diocleziano, in seguito all'incendio e alla conseguente distruzione della sede imperiale di Nicomedia in Bitinia, fece realizzare la nuova grande struttura monumentale da utilizzare quale propria dimora; questa, in ossequio alle sue origini dalmate, venne edificata presso l'importante nodo urbano di Salona, la cesariana Colonia Martia Iulia Salonitana. Il palazzo, dopo la sua compiuta realizzazione (293-305), fu utilizzato dall'imperatore dalla data della sua abdicazione (305), sino alla morte avvenuta nel 313; successivamente l'insediamento continuò ad essere occupato dalla sua famiglia che ne conservò l'uso. La trasformazione del “monumento” in compiuta struttura urbana ebbe inizio dopo il 639 in seguito al progressivo insediamento e stabilizzazione dei profughi provenienti da Salona, investita dall'invasione barbarica degli Avari. Il villaggio fortificato sviluppatosi in contiguità alle mura del palazzo assunse la denominazione, riferita presumibilmente alla primitiva colonia siracusana che occupava la baia (III-II secolo a.C.), di Aspálathos (Aσπάλαθος), la ginestra spinosa caratteristica dell’area. Dopo la seconda metà del VII secolo l'insediamento, sottoposto ad una condizione di instabilità geopolitica, gravitò, con alterne vicende, nell'area di influenza bizantina, per divenire stabilmente veneziano nel 1420 in seguito dell'affermazione del quasi totale predominio della Serenissima sulla costa adriatica della Dalmazia. La caduta di Venezia (1797) e la conseguente dissoluzione dello Stato da Mar, porteranno successivamente la città di Spalato alle occupazioni napoleoniche ed asburgiche e all'annessione (dopo il 1918) al nascente regno di Jugoslavia. 

Il peristilio prima degli interventi di restauro (1890-1900)


Tale complessità, al di là dell'evoluzione delle specifiche vicende storiche, si pone quale fattore qualitativo determinante nello sviluppo del nucleo urbano; la lettura delle pluralità sociali e culturali che hanno influenzato nel tempo l'evoluzione materiale dell'organismo palaziale originale, evidenzia infatti la complessa sovrapposizione di diverse stratificazioni architettoniche; all' interno del perimetro originario convivono, inseriti nel compatto spazio edilizio tipico dell'urbanistica medievale, esempi significativi di periodo gotico, rinascimentale e barocco, attigui a riempimenti edilizi ottocenteschi spesso modificati da successivi interventi di restauro, ed alle tracce delle fortificazioni venete erette a difesa della città durante il periodo della incombente minaccia militare turca; queste particolarità, formate da tessuto edilizio diffuso ed emergenze architettoniche,
si compartiscono mirabilmente all'interno della tipica distribuzione spaziale degli insediamenti veneto/dalmati, senza riuscire però ad assumere la forza sufficiente per sovrapporsi, con le loro pur significative presenze, al “cuore pulsante” del complesso monumentale, sempre rimasto saldamente costituito dai resti nodali, mausoleo e peristilio, dell'antico palazzo dioclezianeo.


Spalato, torre dell’orologio e scorcio del tessuto urbano storico (foto Carlo Nicotra)


Precedentemente alla complessa azione di restauro avviata dopo la seconda metà del XIX secolo (particolarmente incisivi gli interventi effettuati nel 1952, nel corso dei quali fu demolita la chiesa barocca di
Dušica e quelli effettuati nel 1979 in concomitanza all'iscrizione del palazzo nell'elenco dei siti UNESCO), i resti dei monumenti, emergevano da una veste urbana dimessa e caotica, ben diversa dalla pur complessa realtà odierna. Come tali venivano visitati, visti ed apprezzati da numerosi colti viaggiatori che, analogamente a Robin, sostavano a Spalato alla ricerca di immagini di ruderi idealizzanti la figura dell'imperatore che nel 305, varcando la Porta septemtrionalis, prese trionfale possesso del “suo” palazzo. In tal senso, uno dei primi e principali contributi alla rivisitazione in chiave romantica dei monumenti spalatini, si deve alla famosa descrizione pubblicata nel 1764 dall'architetto britannico Robert Adam ed alle allegate immagini elaborate dal pittore e architetto parigino Charles-Louis Clerisseau (vedi: Robert Adam, Ruins of the palace of the Emperor Diocletian at Spalatro in Dalmatia, a cura di Marco Navarra, Reggio Calabria, Biblioteca del Cenide, 2001). Il nucleo storico alla fine del XVIII secolo fu descritto anche nel resoconto di viaggio in Istria e Dalmazia effettuato da Joseph Lavallée alla fine del XVIII secolo (Voyage pittoresque et historique de l’Istrie et de la Dalmatie, Paris, Didot,1802; rist.Trieste, Libreria Antiquaria Saba, 1974) e rappresentato, nelle condizioni in cui versava in quel momento nella raccolta di litografie di Francesco Lanza (Francesco Lanza, Dell’antico Palazzo di Diocleziano in Spalato. Per servire da guida al viaggiatore che ne visita le rovine superstiti, Trieste, Tipografia del Lloyd Adriatico, 1855)


martedì 13 ottobre 2020

Le mura di Monteriggioni


La cinta murata medievale di Monteriggioni; elemento emergente nel paesaggio collinare senese (foto Carlo Nicotra)

Il castello di Monteriggioni, venne edificato nel XIII secolo dai senesi sulla sommità del monte Ala nel luogo ove originariamente sorgeva un'antica fattoria longobarda. La fortificazione, realizzata ex novo sul territorio della Montagnola con finalità principalmente militari, venne concepita per sorvegliare i percorsi stradali principali, inclusa la via Francigena e difendere la frontiera nord della città in direzione di Firenze e dei delicati territori di Volterra e Poggibonsi. Recenti studi dimostrano tra l'altro, che il nuovo insediamento non rispondeva unicamente alla volontà senese di erigere una potente linea difensiva collegata con i castelli di Quercegrossa, Selvole e Cerreto, ma era anche indirizzato verso una intensa politica di popolamento civile e di sfruttamento delle risorse economiche del territorio (P. Cammarosano, Monteriggioni storia, architettura, paesaggio, Electa 1983). 

Varco della porta Franca; sulla muratura in alto a sinistra la lapide che testimonia l'avvio della costruzione della fortezza dato nel 1213 da parte del podestà di Siena Guelfo da Porcari (foto Daniela Durissini)

La costruzione della fortezza venne avviata nel 1213 su disposizione del podestà Guelfo da Porcari che aveva anche provveduto all'acquisto del terreno dalla famiglia nobile Da Staggia, proprietaria dell'intera area collinare; la cinta murata dalla pianta irregolarmente ellittica, venne realizzata nel corso di circa sei anni, dal 1213-14 al 1219, seguendo l'andamento naturale del terreno per una lunghezza di circa 570 metri (ma le opere difensive, inclusi gli importanti fossati dotati di carbonaie incendiabili, le bertesche e il posizionamento delle macchine belliche, non furono totalmente completate prima del 1229). 

Particolare della cinta murata (foto Carlo Nicotra)

Le murature, dello spessore medio di circa 2 metri, furono potenziate con un sistema di 14 torri (più una interna) delle dimensioni di 6x4 metri che si elevavano per 15 metri sopra il livello della cinta. 

Porta Franca; uno dei due accessi all'abitato (foto Carlo Nicotra)

I due accessi contrapposti alla cittadella erano protetti da difese portaie; il primo varco orientato a levante, detto “Porta Romea o Franca”, si apriva in direzione di Siena, l'altro, posto a ponente e denominato “Porta San Giovanni o Fiorentina”, guardava verso Firenze. 

Particolare di una delle torri della cinta (foto Carlo Nicotra)

Monteriggioni, dopo la sua fondazione fu ben presto interessata dalle attività militari che contrapponevano la Repubblica senese a Firenze; in questo contesto la comune organizzazione delle incursioni armate del 1219-1220, con il castello di Quercegrossa, costituì un caso di coordinamento e programmazione strategica, insolitamente precoce nella storia dell'incastellamento dell'Italia centro-settentrionale (M.Merlo, Monteriggioni in prima linea, MONTERIGGIONIOTTOCENTO 1214 - 2014, dipartimento di scienze storiche e beni culturali Università di Siena). La fama di inespugnabilità di Monteriggioni venne alimentata, nel tempo, da alcuni episodi militari: nel 1244 e 1254 vi furono alcuni scontri tra senesi e fiorentini per il possesso della nuova cittadina; nel 1269 i senesi sconfitti nella battaglia di Colle (ricordata da Dante nel XIII canto del Purgatorio) si rifugiarono entro le mura della fortezza resistendo al successivo assedio; il castello venne attaccato anche nel 1526 ma il bombardamento delle artiglierie fiorentine venne interrotto precipitosamente il 25 luglio in seguito all'imprevisto esito, favorevole ai senesi, della battaglia di Porta Camollia a Siena. Monteriggioni capitolò invece, senza combattere, il 27 aprile del 1554 in seguito al tradimento del fuoriuscito fiorentino Bernardino Zeti che cedette la fortezza al Marchese di Marignano; la perdita del caposaldo indebolì gravemente il sistema difensivo della Repubblica e costituì uno dei fattori che portarono Siena alla definitiva disfatta (1555-1559). Monteriggioni e il suo territorio, passarono sotto il controllo dei Medici (Cosimo I) e i cittadini senesi abitanti furono deportati; i beni immobili e terrieri vennero successivamente ceduti alla famiglia Golia di Siena che a loro volta li passarono ai Batta. La proprietà fu poi delle famiglie dei Fabbroni, dei Daddi e dal 1704 degli Accarigi; questi ultimi cedettero il loro vitalizio alla famiglia Griccioli che mantiene tuttora possedimenti nel castello e nel territorio circostante. Al di là delle vicende storiche politiche e sociali intervenute nel corso dei suoi ottocento anni di vita, la cinta “inespugnabile” realizzata dai senesi nel XIII secolo ha mantenuto, a differenza di altri, numerosi, monumenti coevi, una impostazione strutturale sostanzialmente coerente con quella iniziale, seppur inficiata da alcuni importanti interventi di modifica alle componenti architettoniche. 

La cinta turrita sul fianco meridionale del monte Ala (foto Carlo Nicotra)

Nel tempo la cinta murata fu comunque oggetto di diverse modificazioni: tra il 1400 ed il 1500 le torri vennero abbassate in altezza e rinforzate con interramenti per aumentarne la resistenza alle artiglierie; oggi 11 delle 15 torri visibili, si elevano al di sopra del livello della cinta per 6,5 metri mentre le altre quattro sono state ridotte alla stessa altezza del filo murario. Le modifiche più rilevanti rispetto alla struttura originale furono realizzate durante i “restauri” effettuati negli anni venti, in occasione dell'anniversario dantesco del 1921 (Dante cita la cerchia tonda di Monteriggioni nei vv. 40-45 del XXXI canto dell'Inferno). Dal 2005, una modifica effettuata sulle mura permette di percorrere due tratti dei camminamenti di ronda, che originariamente si sviluppavano lungo l' intera cinta e di apprezzare il panorama sul Chianti e sulla Montagnola Senese mentre tuttora sono in corso di programmazione opere di consolidamento di alcuni tratti delle strutture. L'attuale tessuto edilizio interno alle mura, alla quale si accede attraverso i due varchi (Porta Romea e Porta San Giovanni) è organizzato, secondo un modello ampiamente diffuso in periodo medievale e rinascimentale, con la piazza centrale quale luogo di aggregazione dei principali affacci e la contestuale presenza, tra mura ed edificato, di ampie fasce di terreno organizzato a giardini ed orti. La piazza, cuore del borgo, in origine presentava una pavimentazione in terra battuta che venne sostituita, negli anni settanta dello scorso secolo, con un lastricato lapideo delle cave di Rosia. Sulla piazza prospetta la chiesa di Santa Maria Assunta; realizzata contestualmente alla nascita del nuovo borgo; la sua struttura, organizzata con un'unica navata rettangolare e una facciata a capanna, subì importanti trasformazioni nel corso della prima metà del XIX secolo.



Chiesa di Santa Maria Assunta (foto Carlo Nicotra)


mercoledì 1 luglio 2020

Grado, castrum nella laguna veneta; parte seconda


Castrum e centro storico


battistero
Grado, parte superiore del battistero (foto Carlo Nicotra)

Mappa del castrum  

Il nucleo primitivo di Grado, sorto quale struttura complementare avanzata del sistema portuale ed emporiale aquileiese, avviò la sua maturazione urbanistica tra il quarto ed il quinto secolo, contestualmente alla sua elezione a luogo di rifugio da parte delle popolazioni della bassa pianura friulana. L'insediamento fortificato, si dotò, già nel primo periodo della sua crescita, di una importante cinta muraria impostata su uno schema planimetrico irregolarmente rettangolare molto allungato, orientato lungo una direttrice nord-sud; la struttura fondazionale di questo manufatto difensivo, venuta man mano alla luce nel corso di una serie di indagini archeologiche, permise di stabilire la consistenza del perimetro murato castrense che, nel periodo del suo massimo sviluppo, misurava circa 360 metri di lunghezza ed una larghezza variabile tra i 48 metri del suo estremo limite settentrionale, gli 80 metri rilevati in corrispondenza del duomo e i 100 metri dell'estremità meridionale. Le cinte, temporalmente attestabili in successivi periodi storici, si erano progressivamente dotate di un apparato difensivo costituito da diverse torri e da almeno cinque porte; nella zona nord-occidentale del perimetro si trovava la medievale Porta Grande, della quale, sino al secolo scorso, erano visibili alcune tracce dell'alzato; adiacente alla torre tardoromana (torre poligonale) si apriva la Porta Nuova mentre più a sud, indagini archeologiche effettuate nel 1994 hanno messo in luce una ulteriore porta castrense collocata in linea con l'antico decumanus
Davanti alla chiesa di San Rocco sorgeva la Porta Piccola, demolita nel 1875 e sempre sul lato occidentale della cinta erano situate due torri a pianta rettangolare delle quali permangono tuttora tracce seppur molto alterate. Ulteriori tracce dell'impianto difensivo sono emerse con le indagini effettuate nel 2008 che hanno messo in luce un' altra porta collocata presso l'angolo sud-est del castrum in corrispondenza del medievale palazzo comunale. La forma allungata del castrum, attribuibile a fattori fisici legati alla geomorfologia del sito (la fortificazione sorgeva alla foce del Natisone occupando integralmente un importante ed emergente cordone deltizio sabbioso), copriva gran parte degli spazi occupati dall'attuale centro storico ed era percorso longitudinalmente da una dorsale viaria (calle Lunga e calle del Palazzo) che assecondava, nel suo andamento irregolare, l'orientamento delle mura occidentali; questo asse divenne, specie dal VI secolo in poi, fattore determinante per lo strutturazione del tessuto urbano ed elemento generatore dei principali luoghi monumentali. La tipologia del tessuto urbano che caratterizzò la crescita residenziale del borgo fu profondamente condizionata dallo sfruttamento intensivo degli spazi disponibili all'interno della cinta; nacque conseguentemente una struttura urbana complessa ed articolata ma sostanzialmente asservita, almeno sino al XIX secolo, alla compattezza dell'impianto castrense che, con i suoi allineamenti difficilmente modificabili, condizionò lo sviluppo dell'abitato alimentando pure la sua straordinaria veste pittoresca. 

architetture storiche



edifici del centro storico










architetture abitative del centro storico (foto Carlo Nicotra)



La nascita della Grado turistica post-ottocentesca, che fu elemento determinante nella formazione della struttura urbanistica moderna, divenne anche il principale elemento condizionante per la corretta conservazione del patrimonio architettonico storico; durante questo periodo, sino al 1947, molte delle architetture residenziali racchiuse entro il tracciato dell'antico castrum vennero infatti sottoposte a profondi e spesso discutibili interventi di trasformazione.

I monumenti religiosi


Grado sant'eufemia
Grado, cattedrale di Sant'Eufemia (foto Carlo Nicotra)

L'insediamento dei tre principali monumenti religiosi paleocristiani gradesi: la basilica di Santa Maria delle Grazie, il Battistero di San Giovanni e la cattedrale di Sant'Eufemia, costituenti un significativo trittico artistico per le loro architetture e per i rispettivi apparati decorativi e musivi, avvenne in un ristretto ambito urbano incardinato sull'asse viario longitudinale del castrum

La piazzetta della cattedrale
in una immagine di fine Ottocento

Questo spazio angusto sul quale prospettavano i tre edifici, fu oggetto di una opportuna espansione  in seguito alle demolizioni di un tratto della cinta muraria operate in epoca medievale; le trasformazioni urbane mutarono l'assetto del tessuto urbano creando lo slargo corrispondente all'attuale campo dei Patriarchi.  Il Duomo o Basilica di sant'Eufemia, voluta dal Patriarca Elia e da lui consacrata il 3 novembre del 579, venne realizzata sfruttando i resti di un preesistente impianto religioso risalente alla seconda metà del IV secolo. Le testimonianze architettoniche di questa struttura sono tuttora visibili nel livello inferiore del pavimento attuale ed attestano due fasi costruttive distinte: la prima viene identificata da una semplice aula rettangolare, la seconda, più recente, da una struttura absidata delle dimensioni di m. 14,70 per 6,70. La cattedrale eliana, organizzata, con la navata principale e le due navatelle laterali, su uno schema planimetrico delle dimensioni di m. 35,70 x 19,50, piuttosto allungato rispetto alle proporzioni canoniche, denuncia, con la pronunciata deviazione dell'orientamento della facciata e nelle tracce del nartece demolito nel secolo XIX, i condizionamenti subiti in fase costruttiva dall'attigua compatta edilizia del castrum. All'edificio fu poi aggiunto il campanile realizzato sul classico modello tardomedievale. L' interno della chiesa, nel quale si può percepire il particolare ritmo architettonico scandito dalle alternanze e dissonanze tra colonnato, paraste esterne e forature, viene caratterizzato anche dal bizantino dialogo chiaroscurale tra le tre navate e dal grande mosaico pavimentale.


Sant'Eufemia

Cattedrale di Sant'Eufemia (foto Carlo Nicotra) 
Grado cattedrale navata
Sant' Eufemia, ritmo del colonnato (foto Carlo Nicotra)

Notevole pure la serie dei capitelli che sormontano le colonne in marmo policromo (vedi la serie dei sette capitelli compositi di tipo teodosiano) e l'alto ambone esagonale, duecentesco, ma con la presenza di componenti decorative tardoantiche e altomedievali. Il battistero, sorto in aderenza al duomo e legato ad esso sia funzionalmente che nel corpo di fabbrica (originariamente protetto da un portico a tre archi), è costituito da un'alta e compatta struttura a pianta ottagonale di dodici metri di diagonale e dodici di altezza. L'interno viene illuminato da una serie di finestre ed oculi e la percezione di verticalità viene esaltata dall'assenza di interruzioni architettoniche orizzontali (cornici, risalti ecc.). 

grado battistero
Grado, battistero e lapidario (foto carlo Nicotra)


A nord del duomo, sorge la basilica di Santa Maria delle Grazie, terzo dei monumenti religiosi inseriti nel contesto urbano del campo dei Patriarchi, che la tradizione attribuisce all'opera del vescovo aquileiese Cromazio, profugo a Grado tra il 407 ed il 408. 

Santa Maria
Grado, Santa Maria alle Grazie (foto Carlo Nicotra)

L'edificio, le cui forme attuali (restituite dai restauri operati dall'architetto Alessandro Rimini nel 1924) sono da attribuire al periodo eliano, si struttura su un perimetro rettangolare, di 18,90 metri di lunghezza e di 11.20 metri di larghezza, dimensioni corrispondenti a quelle della cattedrale precedente, attestabile alla metà del V secolo; di questa prima chiesa rimangono tuttora visibili, le tracce del pavimento mosaicato e del presbiterio. Alla demolizione del nartece, originariamente addossato all'attuale facciata per alleggerire l'eccessivo verticalismo della parte centrale del prospetto, seguì la reintroduzione (durante i restauri del 1924) della importante trifora e delle paraste; tali opere furono eseguite nell'intento di restituire alla struttura un'immagine coerente al periodo di appartenenza, ma anche per attenuare l'impatto visivo della parte superiore dell'edificio. 

Trifora
Santa Maria alle Grazie, trifora (foto Carlo Nicotra)

Anche gli spazi interni, scanditi da tre navate separate da due file di archi colonnati (nella versione più antica le colonne erano sei mentre nell'edificio eliano si sono ridotte a cinque) sono regolati nella loro disposizione volumetrica dal forte slancio verticale della navata centrale, fattore determinante anche nella disposizione delle finestre e nella conseguente illuminazione naturale dei vani. I due diversi stadi della costruzione risultano evidenti nell'assetto degli interni; all'altare e alla navata centrale, appartenenti all'edificio eliano, corrispondono la navata destra e parte dell'abside, risalenti alla prima edificazione, posizionate su un livello inferiore.


La basilica in piazza della corte

Gli scavi archeologici effettuati tra il 1902 ed il 1904 in piazza della Corte (oggi piazza Biagio Marin) hanno messo in luce i resti di un complesso ecclesiale paleocristiano costituito da una basilica a tre navate e da un battistero a pianta ottagonale ubicato in prossimità del muro castrense occidentale. 

Piazza della Corte, planimetria delle due basiliche sovrapposte

Su un livello inferiore dello scavo vennero inoltre individuati e definiti i resti, poi inglobati dallo sviluppo dell'edificio superiore, di una precedente chiesa a navata unica (delle dimensioni di m. 23.32 per 10,10) attestabile, viste le caratteristiche costruttive, i resti musivi e la semplicità dell'impianto architettonico, tra la fine del IV secolo e l' inizio del V. 

Piazza della Corte, gli scavi archeologici in un'immagine d' epoca


Nel corso della prima metà del secolo VI fu realizzata, sui resti del primo edificio distrutto da un incendio, la nuova basilica, organizzata su tre navate e dotata di un importante impianto absidale. Secondo alcune interpretazioni il complesso basilicale, sorto sui resti di una costruzione romana, sarebbe stato quello che documenti e cronache indicano come dedicato a san Giovanni Evangelista e realizzato dal vescovo Macedonio tra il 539 ed il 557. 

Planimetria del battistero marcata sul livello pavimentale della piazza a margine del tessuto urbano storico (foto Carlo Nicotra)

Il battistero, la cui costruzione è databile attorno al V secolo, presenta una misura in diagonale di m. 8.20; la sua collocazione rispetto alla cattedrale ha fatto ipotizzare l'esistenza di un'officiazione religiosa di culto ariano, probabilmente legata alla presenza di militari Goti nella guarnigione del castrum.


mercoledì 10 giugno 2020

Grado, castrum nella laguna veneta; parte prima

s.eufemia

Grado, basilica di Sant' Eufemia, facciata settentrionale (foto Carlo Nicotra)i


Cenni di storia

La fitta rete di secche, bassifondi, barene e canali, formati dal progressivo impaludamento dell'area costiera adriatica situata tra le foci del Po e del Timavo, i lidi sottili e stagni citati da Tito Livio (descrizione della sconfitta inflitta nel IV sec.a.C. dai veneti all'invasore spartano Cleonimo_Tito Livio Ab urbe condita X), hanno da sempre costituito un unicum naturale atto a rendere difficilmente praticabile l'accesso alla laguna a chi non ne avesse perfetta conoscenza. Questa particolarità ambientale, rivelatasi quale importantissimo strumento di difesa militare fu fattore determinante per le origini, lo sviluppo ed il destino politico-insediativo dei territori della Venetia maritima e della città-stato che ne erediterà il nome.  


Grado laguna

Particolare della mappa "La vera descrizione del Friuli" di Giovanni Andrea Valvassori - Venezia 1553. L'immagine rappresenta la laguna veneta ed indica Aquilegia (Aquileia) e Grado Città (Grado)


Al primo embrione urbano di Venezia, che iniziava a svilupparsi dopo il VI sec. a Rivoalt9(o nel contesto delle isole Realtine, faceva eco la crescita di altri piccoli insediamenti collocati lungo i percorsi dell'antica navigazione endolagunare o prospicienti l'area della pianura veneta occupata dagli Altinati (Torcello, Mazzorbo, Burano, Costanziaco, Ammiana, Murano) che si qualificavano quale sicuro rifugio delle popolazioni in fuga dall'incalzare delle invasioni barbariche (Unni di Attila) ma soprattutto, dagli effetti dello stanziamento, dopo il 568, dei Longobardi.  Nella parte meridionale della laguna gli insediamenti maggiormente coinvolti dai flussi migratori, provenienti da Padova e dall'entroterra veneto del Brenta, furono Chioggia, Cavarzere e il villaggio portuale romano di Malamocco (Metamaucum), mentre sul limite settentrionale del contesto lagunare, il castrum di Grado (Aquae Gradatae) divenne meta delle popolazioni dell'Aquileiese successivamente alle invasioni di Alarico del 401 e 408 e di Attila (maggio del 452). L'insediamento gradese, sorto in periodo romano quale supporto commerciale e difensivo del sistema portuale di Aquileia, ricopriva le funzioni di primo scalo per le imbarcazioni che, giungendo dall'Adriatico, imboccavano e risalivano il corso terminale del Natisone accedendo all'area commerciale della città e di conseguenza alla complessa rete stradale dell'impero.  L'impianto del castrum, per il quale non sono disponibili, in epoca romana, fonti documentarie dotate di una sicura cronologia (indagini archeologiche ne attesterebbero la nascita a un periodo sostanzialmente contestuale a quello di Aquileia), secondo le antiche cronache veneziane, iniziò a sviluppare una sua struttura autonoma nella prima epoca longobarda ed al conseguente insediamento, nel 568, del Patriarca aquileiese Paolino; egli riparando sull'isola vi stabilì la nuova sede del Patriarcato, conferendo al sito una nuova, importante veste storica e spirituale.  Le ipotesi in merito al periodo nel quale Grado iniziò ad imporsi quale centro urbano autonomo sono diverse: le citazioni effettuate nell'VIII secolo da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum, riprese in epoca più tarda dal veneziano Andrea Dandolo nella Chronica per extensum descripta, attestavano uno sviluppo del castrum quale conseguenza degli sconvolgimenti subiti dal territorio friulano durante le invasioni visigote del primo Quattrocento; altri recenti studi farebbero invece supporre lo sviluppo di Grado come porto e come castello, in relazione all'interro del canale di Aquileia (fatto che le indagini archeologiche attestano intorno al secolo VI). L'isola lagunare nel periodo successivo, (probabilmente dopo l'intervento militare imperiale del 552 contro i Goti), stabilizzò la sua appartenenza ai domini bizantini, contrariamente al resto del territorio friulano, Aquileia inclusa, che rimaneva ancora saldamente sottoposta al controllo Longobardo. Grado in quel periodo, sviluppò il suo impianto urbano, si dotò di nuove opere di fortificazione e avviò la costruzione delle due basiliche: Sant'Eufemia (inizialmente dedicata ai protomartiri aquileiesi Ermagora e Fortunato), consacrata dal Patriarca Elia il 3 novembre del 579, e Santa Maria delle Grazie, edificata sempre per volere di Elia, sul sito di una precedente basilica paleocristiana della prima metà del V secolo.



Sant'Eufemia

Grado,basilica di Sant'Eufemia (foto Carlo Nicotra)

Basilica di Sant' Eufemia, ambone duecentesco (foto Carlo Nicotra)

La crescente importanza politica di Grado, rafforzata dalla scissione delle sedi patriarcali (dal 737 il patriarcato di Aquileia, con sede a Cividale, divenne del tutto separato da quello gradese), si accompagnò alla maturazione del potere ducale a Venezia che, successivamente alla caduta (774) del regno longobardo ad opera dei franchi, estese il suo controllo sull'intera laguna. La decadenza iniziò contestualmente all'emergere della potenza marciana, alla soppressione della diocesi gradese, ed al conseguente trasferimento, avvenuto dopo il XV secolo, della residenza patriarcale alla basilica di San Pietro di Castello a Venezia.  

Grado Santa Maria delle Grazie

Grado, cattedrale di Santa Maria delle Grazie (foto Carlo Nicotra)

Grado, compresa nei territori del Dogado (l'area metropolitana lagunare di Venezia) sino al trattato di Campoformido (1797) e inclusa nei diversi possedimenti costieri veneziani compresi tra Lignano, Marano (veneta dal 1543) e Monfalcone subì, nel corso del Settecento, un progressivo impoverimento ed isolamento; le condizioni di vita dell'isola divennero man mano più difficili e portarono alla progressiva trasformazione dell'antico castrum in un borgo di pescatori con non più di duemila abitanti.  Durante l' occupazione napoleonica ed il breve possesso inglese (1810), nel periodo immediatamente successivo alla caduta della Serenissima, Grado aggravò ulteriormente la già precaria condizione di decadenza ed abbandono, subendo anche alcuni gravi danneggiamenti al suo patrimonio culturale quali l'incendio dell'archivio e la demolizione della chiesa di San Vitale. L'annessione dal 1815 all'impero asburgico, decretò la definitiva e totale dipendenza amministrativa dell'isola alla contea di Gorizia, con la conseguente rescissione di ogni legame sociale,economico e culturale da Venezia. Grado riprese la sua crescita solamente in epoca contemporanea con l'inaugurazione dell'Ospizio marino nel 1872, con l'apertura nel 1892 del primo stabilimento balneare e con la costruzione nel 1896, del primo albergo diventando, nel giro di pochi anni, una delle località balneari più note dell'Impero austro-ungarico. Nel 1910, fu aperta a la linea ferroviaria tra Cervignano e Belvedere, tratta che permetteva di raggiungere l' isola con solo mezz'ora di vaporetto. La realizzazione della diga lagunare con la relativa passeggiata a mare e del caratteristico porto interno, costituirono ulteriori incentivi allo sviluppo del nuovo centro urbano che cresceva attiguo allo storico castrum

Grado porto

Il porto interno di Grado, realizzato nei primi anni del Novecento (foto Carlo Nicotra)


Grado foto storica

Il porto di Grado in una immagine d' epoca

Il 14 giugno 1936 l' isola di Grado, già facilitata nei collegamenti con l' entroterra friulano dalla realizzazione della strada lagunare tra Belvedere e la darsena San Marco, venne definitivamente collegata alla terraferma con la posa in opera del nuovo ponte girevole, successivamente denominato ponte Matteotti; la struttura di 213 metri di lunghezza, progettata dai fratelli gradesi Degrassi e realizzata dalla Società Adriatica di Costruzioni di Trieste, segnò il termine del secolare isolamento dell'insediamento gradese.