giovedì 27 aprile 2017

Colle di San Giusto – evoluzione della struttura urbana (p.I)



La cattedrale di San Giusto e la parte terminale del percorso di accesso dalla città, raffigurati in una stampa ottocentesca.(archivio del Comune di Trieste)

L'identità urbanistica dell'insediamento, sorto sulla sommità del colle di San Giusto successivamente al V secolo a.C., si consolidò con lo sviluppo delle principali strutture pubbliche della Tergeste romana e, successivamente, con quello degli edifici monumentali cittadini, religiosi e militari d' epoca medievale e moderna (cattedrale e castello).



Le ampie zone inedificate circostanti la cattedrale ed il castello ed il compatto tessuto urbano sottostante rappresentate nella  mappa disegnata da Ferdinando Klausberger nel 1806 (archivio del Comune di Trieste)

A questi elementi di permanenza strutturale, si aggiunsero quelli legati alla conservazione di alcuni dei principali tracciati ordinatori del tessuto urbano e della rete viaria. Nelle principali fonti iconografiche successive al XIV secolo, che ci restituiscono un'immagine della parte sommitale del colle caratterizzata da una sostanziale stabilità nel tempo, si ritrovano gli edifici della cattedrale e del castello, sempre emergenti nel contesto dei vuoti urbani, contestuali all'esistenza di spazi verdi, coltivi, isolate costruzioni e gruppi di abitazioni attestate sui fronte strada lungo le direttrici di accesso al colle. 




L' area occupata da coltivi antistante le mura del castello ed il campanile della cattedrale.
(foto archivio del Comune di Trieste)

Questi fattori possono venir giustificati dalla presenza del castello, struttura militare di controllo della città, che ha sempre costituito un ostacolo allo sviluppo urbano degli spazi contermini, e dalla presenza della cattedrale sulla sommità del colle, che ha contribuito a mantenere vivo l' asse di accesso che, dalla parte bassa dell'abitato, risaliva lungo il percorso dell'attuale via Donota. 


Campanile della cattedrale
Campanile della cattedrale di San Giusto (foto Carlo Nicotra)

Lo stesso discorso non si può invece applicare al tessuto edilizio e viario immediatamente circostante; esso fu gradualmente soggetto ad un processo di trasformazione collegato, in gran parte, ad un progressivo insediamento di diverse istituzioni religiose e cimiteriali. Il monastero benedettino femminile di San Cipriano, fondato nel XIII secolo, si sviluppò dopo il 1426, nell'area dell'attuale via delle Monache, mentre l' insediamento dei Padri Gesuiti nel 1619, con la conseguente realizzazione della chiesa e collegio di Santa Maria Maggiore, portò a notevoli trasformazioni urbanistiche ed all'inserimento della massiccia mole barocca dell'edificio, nel contesto della minuta tessitura urbana medievale. Nell'isolato compreso tra la via del Castello, la via delle Monache e la via dell'Ospitale, sorsero gli edifici del nuovo episcopato, mentre nel 1663, negli spazi contigui delimitati a nord dalla via Rota, venne realizzata, su un sito già occupato da resti romani, una ulteriore residenza vescovile. Una ulteriore profonda trasformazione dell'area derivò dall'insediamento a Trieste dei Padri Cappuccini ed alla conseguente realizzazione, nel 1857, della chiesa e convento di Sant'Apollinare. I lavori, data la natura scoscesa del suolo, comportarono movimenti di terra di notevoli proporzioni che coinvolsero parte dei pendii nordorientali del colle. 

L' area occupata dal 1857 dalla chiesa di Sant'Apollinare e dal convento dei padri Cappuccini - particolare della mappa disegnata  nel 1912 da Michele Pozzetto (archivio del Comune di Trieste)

Le modifiche più incisive nella intera struttura della città storica, furono però quelle conseguenti alla nascita della Trieste teresiana; lo sviluppo della città emporiale diede infatti avvio alla dicotomica distinzione tra città vecchia e città nuova che i diversi tentativi di integrazione, non riuscirono mai più ad eliminare. 

Pianta topografica della città di Trieste disegnata da Gustavo Eckhardt nel 1852 ove appare il tessuto edilizio della città vecchia e la maglia ortogonale della nuova edificazione. (archivio del Comune di Trieste)

La decisione (decreto 27 novembre 1749) di abbattere la seppur vetusta cinta muraria, fu il primo atto della progressiva destrutturazione della
forma urbis storica, ed il sostanziale avvio delle trasformazioni che culmineranno negli interventi novecenteschi.



Immagine di Trieste - Il castello, le mura con le porte urbiche e le saline (da J.V. Valvasor 1689) 

Mentre il nuovo edificato, strutturato sul modello classico della griglia ortogonale, sorgeva sui siti occupati dalle saline e i resti delle torri della cinta muraria demolita, venivano riutilizzati dalla popolazione per abitazioni e botteghe, sulla sommità del colle, nel quattrocentesco spazio murato denominato Giardino del Capitano, sito cimiteriale sino al 1825, trovava esecuzione l' idea, espressa nel 1813 da Pietro Nobile, di realizzare un Museo Lapidario riferito al pensiero neoclassico di Giovanni Winckelmann. 


Struttura urbana medievale e disposizione edilizia a maglia ortogonale - particolare della mappa disegnata  nel 1912 da Michele Pozzetto (archivio del Comune di Trieste)

La dialettica, sviluppatasi nel contesto cittadino, nella seconda metà del secolo XIX in merito ai progetti di integrazione tra città vecchia e città nuova, portò alla redazione, nel 1880, di un piano regolatore che, sulla scia di altri analoghi provvedimenti urbanistici adottati in quel periodo in altri contesti urbani, ipotizzava una vasta azione di bonifica e risanamento del patrimonio edilizio storico. Il piano redatto dall'ingegnere Ettore Lorenzetti fu sottoposto, in data 21 aprile 1880, all'esame del Consiglio comunale. La mancata approvazione del documento provocò, una sostanziale sospensione di tutti gli interventi sulla città vecchia.


Articolo concernente la struttura urbana del colle di San Giusto.  

mercoledì 12 aprile 2017

Cattedrale di San Giusto - restauri


Facciata e campanile viste dalla via della Cattedrale (foto Carlo Nicotra)

L'assetto viario che si riscontra sino alla fine Ottocento nella parte superiore del colle di San Giusto, risulta corrispondente, nelle sue direttrici principali, a quello esistente in periodo romano e successivamente nel borgo murato medievale. I tracciati delle attuali vie Donota e Cattedrale costituivano un asse che, probabile prolungamento del cardus maximus, concludeva il suo percorso sul fondale scenografico dei propilei dando accesso alla sommità del colle e all'area dei grandi edifici pubblici cittadini.
La permanenza della forma urbis contribuì, in epoca bizantina ed altomedievale, al mantenimento di una forte connotazione funzionale e simbolica del sito e della sua vocazione di cuore religioso della città. I resti del propilei costituirono la base per lo sviluppo dell'aula paleocristiana del V secolo e per lo sviluppo, in periodo medievale, delle due chiese parallele di Santa Maria e San Giusto; esse furono a loro volta, elemento costituente della realizzazione trecentesca dell'impianto basilicale a cinque navate che tuttora persiste.


Navata centrale della cattedrale (foto Carlo Nicotra)

La realizzazione della nuova cattedrale, portata a termine nel 1343 con la costruzione del campanile, derivò dalla fusione dei due edifici, operata con una serie di interventi di parziale demolizione e di ricucitura e completata dalla realizzazione, quale elemento unificante, della facciata con rosone.


Particolare del campanile - statua di San Giusto del XIV secolo ed inserti lapidei riutilizzati (foto Carlo Nicotra) 

La scelta delle autorità religiose dell'epoca, di riutilizzare parte del patrimonio esistente, evitando l'onerosa realizzazione di un nuovo edificio basilicale, permise di conservare parte delle testimonianze storico artistiche delle due chiese, ma fece nascere una fabbrica di notevole complessità architettonica e fragilità strutturale.



Capitello della navata sinistra della cattedrale (foto Carlo Nicotra)


Queste particolarità portarono l' edificio, dal 1343 in poi, ad una costante necessità manutentiva che, in alcuni casi, coinvolse la quasi totalità della struttura. Ai lavori effettuati nel 1421, quando venne rifatta ed abbassata la cuspide del campanile, seguirono, prima dell'avvio dei restauri ottocenteschi, una lunga serie di interventi di trasformazione e manutenzione. La precaria condizione della chiesa fu descritta nel 1842 da Pietro Kandler, conservatore per il Litorale della neo costituita “imperial regia commissione centrale per lo studio e la conservazione dei monumenti”; di conseguenza il 27 luglio 1843, come annota in proposito Luigi de Jenner “...venne dato principio all'atterramento dell'abside di S. Giusto...”. Con tale demolizione, resa necessaria dallo stato di conservazione delle strutture, iniziò una serie di contestatissimi restauri che ottennero scarsi risultati e contribuirono a moltiplicare, invece che risolvere, le problematiche dell'edificio. Anche il concorso, indetto nel 1887 per la risistemazione della facciata e del campanile, non diede esiti positivi, i risultati tecnici ottenuti non furono ritenuti degni di attuazione e la conservazione della basilica venne nuovamente confinata all'esecuzione di sporadici interventi.


La cattedrale, il campanile ed il sagrato in un'immagine ottocentesca
(foto archivio del Comune di Trieste) 

Nel 1905 il soffitto ligneo della navata centrale fu interamente rifatto, ma il restauro completo della cattedrale doveva attendere il 1929, quando Ferdinando Forlati, subentrato nel 1926 a Giacomo De Nicola alla guida della Soprintendenza, iniziò i lavori di recupero dell'impianto principale e degli edifici collegati: campanile, battistero e chiesetta, ex cappella cimiteriale, di San Michele al Carnale. Il primo intervento venne finalizzato alla valorizzazione dei resti romani dei propilei, siti all'interno del campanile, che furono parzialmente ricomposti e resi visibili tramite la realizzazione di una nicchia sotterranea collegata con un ingresso sito nel contiguo orto Lapidario. I restauri interessarono successivamente la navata di San Giusto, dove la ricollocazione del pavimento alla quota originaria, permise di riportare alla luce il sedile semicircolare per i diaconi, collocato ai piedi dell'abside. Furono poi recuperate le decorazioni ad affresco dell'absidiola di San Nicolò e restaurata la cupola al di sopra del transetto. Un'altra operazione di grande impatto, riguardò la totale ricostruzione della grande abside manomessa dagli interventi del 1843; dopo l'intervento edilizio, essa venne completata con il rifacimento dell'immagine a mosaico raffigurante l' incoronazione della Vergine, motivo già presente nell'originale affresco quattrocentesco. L'opera, affidata nel 1927 all'artista veneziano Guido Cadorin, venne inaugurata il 3 novembre 1933. Completati i restauri interni, il Forlati intervenne sulle parti esterne, riportando la pietra a vista sulla facciata della basilica, e risistemando il campanile e gli altri due edifici adiacenti, mentre lo spazio del sagrato fu rimodellato ed abbassato alla quota originaria. 



Articolo relativo ai restauri della Cattedrale di San Giusto


giovedì 6 aprile 2017

Castello di San Giusto - prospezioni georadar e scavi archeologici


Castello di San Giusto, il piazzale prima dell' inizio degli scavi

Nel corso degli interventi di restauro effettuati negli anni compresi tra il 2003 ed il 2013, furono effettuati, nel contesto dei vari lotti di lavoro, una serie di sondaggi, finalizzati alla verifica di eventuali elementi di permanenza nel sottosuolo del piazzale del castello. Le fonti documentarie testimoniavano la presenza della fortezza veneta anteriormente alla costruzione dell'edificio federiciano(1470), mentre l'esistenza di un continuum edificato tra il castelliere risalente all'età del ferro, e le strutture d'epoca romana e bizantina, rimaneva privo di elementi materiali di conferma. Il fatto che, nel tratto superiore della cinta murata medievale, posto sulla sommità del colle, insistessero pure le torri di Cucherna e della Cella, rafforzava la necessità dell'esecuzione di puntuali verifiche preliminari. La prima operazione, a carattere non invasivo, fu avviata, contestualmente alle opere di restauro, mediante la metodologia del Ground Probing Radar o georadar (GPR), sistema che offriva già nel 2003, al momento dell'effettuazione delle prospezioni, buone garanzie di precisione nelle mappature archeologiche dei livelli superficiali del sottosuolo.


estratto immagine georadar presso l' edificio federiciano
(archivio del Comune di Trieste)


Nel corso di due mesi furono effettuate, due serie di 50 profili. La prima fu effettuata con un' antenna da 500 Mhz conformata per l'esecuzione di indagini attendibili sino alla profondità di 3,50 – 4,00 metri, mentre la seconda serie, utilizzava una risoluzione da 100 Mhz, ed era in grado di rilevare elementi anomali sino alla profondità di 10 metri dal piano di superficie. L'elaborazione dei dati rilevati, restituiti graficamente su piani paralleli alla superficie di calpestio, permise di evidenziare l'esistenza, nel sottosuolo del piazzale, di una serie di manufatti murari, dalla geometria regolare ed un andamento planimetrico prevalentemente ortogonale. Le caratteristiche tipologiche di queste strutture, collocate in un'area prossima alle murature interne degli attuali bastioni, indicavano l'esistenza di due distinti organismi edilizi sepolti, ai quali si aggiungeva, nel centro del piazzale, la presenza di un massiccio elemento circolare.
Successivamente (13 giugno-18 settembre 2005), il piazzale fu interessato da indagini archeologiche dirette, finalizzate ad individuare la successione stratigrafica nei siti, ove le risultanze delle indagini georadar, avevano indicato la presenza di manufatti murari sepolti. Il primo significativo elemento emerso, fu la presenza di un uniforme ed omogeneo strato di copertura, costituito da uno spessore di circa 40-50 centimetri di materiale lapideo, assestato al di sopra di tutte le strutture murarie successivamente riportate in luce.

estratto del rilievo planimetrico dei ritrovamenti archeologici
(archivio del Comune di Trieste)

Tale strato, formato dai materiali di rovina dei manufatti più antichi, riutilizzati per la creazione dello spazio planimetrico del piazzale, costituiva, in un certo senso, un elemento di sintesi materiale della lunga e complessa storia della fortezza. Nelle stratigrafie più profonde venne ritrovato il sistema murario fondazionale segnalato dalle prospezioni georadar; esso apparteneva, almeno in parte, agli edifici del castello veneto, mentre l' elemento murario circolare, messo completamente in luce dagli scavi, si rivelava quale parte basale di una delle torri delle fortificazioni più antiche.



dettagli del basamento circolare (foto archivio del Comune di Trieste)

Il basamento, del diametro di 9,50 metri, affondava la sua tessitura muraria per circa 120 cm nel materiale lapideo di riempimento, per appoggiarsi direttamente sul substrato di roccia arenacea.

sezione rilevata del basamento circolare (elaborazione grafica Carlo Nicotra)


Dopo la conclusione della prima fase delle indagini, fu avviata la realizzazione di due trincee subparallele nell'area del piazzale; gli scavi permisero di confermare alcune delle risultanze già ottenute e il contestuale ritrovamento di una serie di reperti ceramici, prevalentemente attestabili all'inoltrato XVI secolo - inizi del secolo XVII, con presenza residuale di frammenti di epoche precedenti.

una delle due trincee realizzate nel piazzale (foto archivio del Comune di Trieste) 

Complessivamente, anche il quadro dei ritrovamenti ceramici confermò, vista la totale disomogeneità dei punti di localizzazione, i profondi rimaneggiamenti e le sostanziali modificazioni subite, durante la progressiva formazione della fortezza, dagli elementi edilizi che insistevano nell'area di indagine.