lunedì 29 ottobre 2018

Sant' Ivo alla Sapienza

Borromini
Roma, Sant'Ivo alla Sapienza, cupola e lanterna spiraliforme (foto Carlo Nicotra)

Nel 1660 a Roma veniva consacrata, all'interno del complesso universitario della Sapienza,la piccola chiesa dedicata a Sant'Ivo Hélory. Borromini che, da architetto dell'università romana, aveva iniziato ad occuparsi del progetto dopo il 1632, non avendo a disposizione grandi spazi planimetrici, fece la scelta di far sviluppare le volumetrie della chiesa verso l'alto. Nello schema progettuale da lui ideato due triangoli contrapposti, combinati con parti di cerchio concave e convesse, si compenetravano sino a formare l'immagine di una stella a sei punte; tale figura si sviluppava nell'alzato creando un impianto spaziale ricco di contenuti simbolici. La traslazione dell'impianto dal livello terra alla sommità delle pareti, generava l'appoggio, in assenza di trabeazione, della cupola che, a sua volta, si spingeva verticale e dinamica sino al cerchio luminoso e perfetto della lanterna. 

Borromini
Sant'Ivo, intradosso della cupola (foto Carlo Nicotra)

All'esterno un crescendo di gradoni contraffortati si impostava sul tamburo ottagonale, proseguiva verso l'alto con la lanterna strutturata su un'alternanza di colonne binate e superfici concave, aprendosi, alla fine, verso il cielo tramite l'elemento a spirale. Quest'ultimo, nella cui immagine sono riconoscibili molteplici riferimenti simbolici ed architettonici (tratti dell'iconografia cinquecentesca della torre di Babele nelle forme rivisitate dal gesuita tedesco Athanasius Kircher, il faro di Alessandria, ma anche alcune delle componenti del gotico fiorito che il giovane Borromini aveva trattato durante la realizzazione del tiburio del duomo di Milano) costituisce uno dei principali elementi caratterizzanti l'edificio; dinamizza gli spazi proiettandoli, in opposizione alla simbolica chiusura della volta celeste operata nella quasi totalità delle cupole degli edifici religiosi, dal basso verso l'infinito.

Borromini
Sant'Ivo particolari architettonici della lanterna spiraliforme (foto Carlo Nicotra)

Tra le righe dell'eterodossia architettonica borrominiana, espressa con decisione nella dinamica spaziale operata a Sant'Ivo, si coglie peraltro un'accorta politica professionale; nell'edificio l'architetto contestualizza un omaggio alla famiglia Barberini, il cui schema araldico delle tre api appare stilizzato nell'intreccio delle geometrie che formano l'impianto planimetrico e inserisce l'elemento sommitale esterno della corona di fiamme in pietra e ferro della lanterna/faro luce dell'umanità, sovrastata dal globo e dalla colomba col ramoscello d'ulivo, quale palese tributo al pontefice in carica Innocenzo X Pamphilj. 

Borromini
Sant'Ivo, parte sommitale della lanterna (foto Carlo Nicotra)


Borromini
Roma,  complesso di Sant'Ivo alla Sapienza 1642-1660  (foto Carlo Nicotra)


venerdì 6 luglio 2018

Trogir, Castel Camerlengo

Trogir
Castel Camerlengo, torre ottagonale e spalti (foto Carlo Nicotra)

Il cosiddetto “Castel Camerlengo” fa parte del complesso sistema di fortificazioni di cui era dotata la cittadina dalmata di Trogir. La prima cinta murata della cittadina, risalente al periodo ellenistico, racchiudeva parte del perimetro dell'isola di Tragurion (isola delle capre) e proteggeva il centro abitato sviluppatosi nel sito secondo le linee del reticolo urbanistico ippodameo. Le opere di fortificazione dell'isola, si svilupparono ulteriormente dopo il 78 a.C. nella Tragurium romana e dopo il X secolo, nella autonoma Tragura medievale.


Castel Camerlengo in un'immagine d'epoca. 

Successivamente all'anno 1000, Trogir cominciò ad entrare nell'orbita di influenza della nascente potenza della Serenissima, ma furono i Genovesi che, occupata l' isola nel corso del conflitto con Venezia (guerra di Chioggia 1378-1381), la attrezzarono quale sicura base di appoggio per la loro flotta nel mare Adriatico ed edificarono un'importante torre a nove lati, embrione del futuro castello. Dopo la definitiva occupazione veneziana, avvenuta nel 1420 in seguito al vincente assedio condotto da Piero Loredan, la torre genovese fu ampliata e collegata ad un sistema difensivo complesso che accorpava il nucleo urbano esistente al suburbio (Pasike) mediante la realizzazione di una ininterrotta cinta muraria. 

Trogir
Castel Camerlengo, la torre ottagonale dal cortile (foto Carlo Nicotra)

Tra il 1420 ed il 1433 le fortificazioni urbane vennero ulteriormente potenziate con la costruzione della massiccia struttura a pianta rettangolare, rinforzata da torri ai quattro lati che, in quanto sede della struttura militare veneta, venne denominata Castel Camerlengo. La fortezza, realizzata dal maestro dalmata Marino Radoi su progetto dell'ingegnere militare veneziano Lorenzo Pincino da Bergamo, era originariamente circondata da un fossato e difesa sui lati nord ed est da un terrapieno; l'ingresso principale, che si apriva sulla cortina muraria settentrionale era protetto da ponte levatoio. 

Trogir
Castel Camerlengo (foto Carlo Nicotra)

Il complesso fortificato dell'isola venne ulteriormente potenziato tra il 1470 e la fine del XV secolo con la costruzione della Torre di San Marco. Situata su uno dei canali di accesso all'isola e collegata alla fortezza, venne progettata da Giocondo Cappello e Domenico di Allegretto da Ragusa con una struttura a pianta circolare attinente ai dettami dell'architettura militare del momento e adeguata all'
 evoluzione tecnica delle artiglierie. 

Trogir
Trogir, torre di San Marco, sec XV (foto Carlo Nicotra)

Nel corso del XIX secolo, contestualmente alla demolizione di gran parte della cinta muraria veneziana, Castel Camerlengo subì un notevole degrado; furono infatti demoliti tutti gli edifici situati nel cortile, la residenza del comandante del castello, gli alloggi della guarnigione e la cappella di San Marco. 

Castel Camerlengo, scavi archeologici (1941)


L' aspetto attuale della struttura è legato agli interventi di risanamento effettuati nel corso del XX secolo che hanno provveduto al recupero e consolidamento delle strutture murarie, adattato un percorso per la visita degli spalti e delle torri e recuperato gli spazi della corte per un utilizzo a fini turistici.

Trogir dal castello
Castel Camerlengo, vista del centro storico di Trogir dalla sommità della torre ottagonale (foto Carlo Nicotra)


lunedì 28 maggio 2018

Castello di Tures

burg taufers
Castello di Tures (foto Carlo Nicotra)

Il Castello di Tures (Burg Taufers) è situato alle spalle dell'abitato altoatesino di Campo Tures (Sand in Taufers) sulla sommità dell'altura, bagnata dal torrente Aurina, già sito, dal XII secolo, di una precedente rocca. Citato per la prima volta da fonti documentali nel 1225 con il nome di “Castel Tures” e quale proprietà dei signori di Taufers ministeriali della chiesa vescovile di Bressanone, si sviluppò dall'originale mastio con torre d'abitazione e granaio, in un articolato complesso che trovò la sua forma definitiva solo dopo la metà del secolo XVI. Mai coinvolto in azioni militari di rilievo, fu lungamente adibito a residenza e corte di diverse famiglie nobiliari e dopo il 1504, venne ampliato nelle sue strutture abitative, rappresentative e difensive dai signori di Fieger che ne fecero innalzare l'ala sud ovest. 

Castello di Tures (foto Llorenzi)

La struttura venne utilizzata sino all'inizio del secolo XIX, poi venne abbandonata, cadendo progressivamente in rovina. L'aspetto attuale del castello è dovuto all'intervento effettuato nel 1907 da Ludwig Lobmayr e da quello avviato dall'abate Hieronimus Gassner, procuratore generale dell'ordine dei benedettini austriaci, che lo acquistò nel 1953, ne risanò le mura e fece riedificare la torre. Nel 1977 l'edificio fu rilevato dall'Associazione dei Castelli dell'Alto Adige (Südtiroler Burgeninstitut) che si attivò per l'esecuzione di diverse opere di restauro e manutenzione dei paramenti murari delle facciate, degli interessanti ambienti interni e degli arredi.


Castello di Tures, sale interne (Südtiroler Burgeninstitut)




martedì 22 maggio 2018

Castello di San Servolo

San Servolo
Castello di San Servolo (foto Carlo Nicotra)

Il castello di San Servolo (
Grad Socerb in sloveno, Schloss Sankt Serff in tedesco) è situato in territorio sloveno sulla sommità di una rupe incombente sul golfo di Trieste. Il nucleo originario della costruzione è presumibilmente databile al IX secolo ma la struttura, teatro di numerosi episodi bellici, fu più volte distrutta, ricostruita e ampliata nel corso dei secoli successivi. Il castello fu controllato dai veneziani dal 1463 per passare poi in proprietà alla nobiltà locale. L'aspetto attuale dell'edificio è riconducibile all'intervento effettuato nel 1924 dal barone triestino Demetrio Economo ed ai restauri effettuati nel secondo dopoguerra.

Immagine del castello di San Servolo tratta da "Die Ehre des Hertzogthums Crain" di Janez Vajkard Valvasor (1689)


giovedì 17 maggio 2018

Palazzo Gopcevich


Trieste
Trieste, palazzo Gopcevich (foto Carlo Nicotra)

Palazzo Gopcevich venne realizzato tra il 1847 ed il 1850 sulla sponda nord del Canal Grande, asse urbano che, collegando il lungomare cittadino alla parte centrale del Borgo Teresiano, costituiva il cuore della parte attiva della Trieste ottocentesca.


palazzo Gopcevich
Trieste Canal Grande, a sinistra palazzo Gopcevich, sulla destra palazzo Carciotti e sullo sfondo la chiesa di Sant'Antonio (foto Carlo Nicotra)
Trieste Canal Grande
Trieste, palazzo Gopcevich, il prospetto principale sul canale (foto Carlo Nicotra)

Spiridione Gopcevich (1815 – 1861), facoltoso armatore e commerciante austriaco di origini serbe, commissionò il progetto all'architetto Giovanni Berlam che sviluppò uno dei primi esempi cittadini di architettura eclettica. La facciata, riecheggiante forme architettoniche del Quattrocento lombardo, decorata con riprese ornamentali tipiche dei palazzi veneziani e trattata con motivi geometrici bicromatici, costituiva la parte rappresentativa dell'edificio; gli spazi funzionali, che si estendevano sino alla retrostante via Machiavelli, furono organizzati per ospitare l'abitazione della famiglia nonchè gli uffici e magazzini della connessa attività imprenditoriale. Il palazzo venne abitato dai Gopcevich per circa venti anni, poi venne suddiviso in due parti divenendo, nel 1921, sede della Compagnia di Assicurazioni Danubio e nel 1928, della Cassa Marittima Adriatica. Nel 1999, dopo un attento restauro, l'edificio venne acquisito dal Comune di Trieste che allestì gli spazi interni quale sede del Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl e per altre attività culturali.




giovedì 10 maggio 2018

Il Politeama Rossetti

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Trieste, il Politeama Rossetti dall'Acquedotto (Viale XX settembre)

Trieste, nella seconda metà dell'Ottocento si trovava in una fase di vivace espansione urbana che iniziava a varcare la barriera dei torrenti, sino a quel momento, limite fisico ai compatti insediamenti della città teresiana. A monte del nuovo Borgo Chiozza, si strutturava l'arteria della Corsia Stadion e nasceva la Via dell'Acquedotto, che prendeva il nome dal canale in pietra romano, distrutto dai Longobardi e ricostruito nel 1750, regnante Maria Teresa. 


Trieste, la Via dell'Acquedotto (il "Viale") in una foto d' epoca

La sistemazione, nel 1808 della passeggiata alberata che portava all'ameno sito periurbano del Boschetto ed alla relativa Caffetteria (1830), trasformava il “Viale” in una promenade, identificata ben presto nell'uso comune, nell'immaginario collettivo e nelle citazioni letterarie quale uno dei principali punti di ritrovo e svago della città (...una sera, al principio di gennaio, il Balli, con un infinito malumore, camminava soletto lungo l’Acquedotto... - Senilità, Italo Svevo 1898). Fu in questo luogo, particolarmente vocato all'insediamento di attività ricreative che, nel 1877, la Società anonima (per azioni), formata da un gruppo di finanzieri triestini, facenti capo al barone Emilio de Morpurgo, azionista di rilievo del Lloyd di assicurazione e navigazione, scelse di realizzare una nuova importante sala teatrale cittadina conferendone l'incarico di progettazione all'ingegnere ligure Nicolò Bruno. La scelta si rivelò indicativa in merito alle caratteristiche da dare al futuro edificio; il Bruno infatti, dotato di precedenti esperienze relative alla costruzione di edifici teatrali, tra cui il teatro Gustavo Modena di Sanpierdarena ed il Politeama di Genova (1868-1871), ripropose, sfruttando il modello genovese, l'idea della polifunzionalità e della conseguente possibilità, derivata dall'ampiezza e dalle caratteristiche tecniche del palcoscenico, di ospitare qualsiasi tipo di spettacolo teatrale. Il suo progetto, firmato congiuntamente all'architetto Giovanni Scalmanini, venne approvato dal podestà di Trieste Massimiliano D'Angeli il 26 settembre 1877 e la realizzazione dell'edificio, operata dall'impresa dell'ingegnere Giovanni Righetti, pure lui come lo Scalmanini, di origine ticinese, impegnò, unitamente all'acquisto degli oltre quattromila metri quadrati di terreno necessari, la somma complessiva dei trecentomila fiorini sottoscritti dalle azioni emesse dalla società. Il Politeama, dedicato alla memoria del mecenate triestino Domenico Rossetti De Scander, fu realizzato in poco più di un anno; venne inaugurato il 27 aprile 1878, ma il suo pieno inserimento nel panorama della realtà culturale cittadina non fu immediato e neppure esente da ampie critiche da parte della stampa locale che contestavano la sua “posizione un po' scomoda” e la povertà di alcune scelte estetiche. 


Politeama Rossetti, ingresso al livello del foyer/platea e scala diagonale (foto Carlo Nicotra)

La struttura in realtà conteneva diverse soluzioni costruttive interessanti sia nella sua impostazione architettonica sia nell'attuazione di alcune soluzioni funzionali; inserito nel contesto stilistico dell'eclettismo, che al tempo caratterizzava i più importanti edifici cittadini, il Politeama presentava dei prospetti dalle forme eleganti che ben si adattavano, grazie anche all'inserimento di una particolare scalinata diagonale, al terreno in forte dislivello tra la pianeggiante Via dell'Acquedotto (ora Viale XX settembre) ove era stato collocato l'ingresso principale e la soprastante via Crispi; il Bruno ottenne di mediare l'inevitabile sfalsamento altimetrico tra accesso e foyer/platea operando sullo stretto rapporto tra l'impostazione delle facciate sud ed ovest e l'apparato distributivo interno.


Politeama Rossetti facciata
Politeama Rossetti, prospetto su Viale XX Settembre (foto Carlo Nicotra)

Gli altri fattori caratterizzanti erano costituiti dalla larghezza (25 metri) del palcoscenico, dalla particolare capienza della sala (diametro massimo di 31 metri), che poteva originariamente ospitare 5000 spettatori seduti e dalla cupola apribile che sovrastava la platea; questa soluzione conteneva un probabile riferimento al Politeama genovese che funzionò, per parecchi anni, privo di copertura. L'aspetto attuale del Politeama triestino corrisponde però solo parzialmente all'immagine creata dal Bruno; la storia dell'edificio e conseguentemente il suo aspetto e le sue funzionalità, vennero infatti caratterizzate principalmente dai tre significativi interventi di restauro avviati nel corso del Novecento. Nel 1928 la Società proprietaria, per risolvere una serie di problematiche funzionali, commissionò alcune importanti opere che ne coinvolsero quasi tutto l'assetto interno; la progettazione venne affidata all'architetto Umberto Nordio che si avvalse della collaborazione dell'architetto Aldo Cervi, dello scultore Marcello Mascherini e del decoratore Emilio Magliaretta. I principali interventi effettuati riguardarono la drastica riduzione dei posti a sedere, il rifacimento della cupola con l'eliminazione del meccanismo di apertura, la realizzazione dello scalone nell'atrio e la revisione di tutto l'apparato decorativo della sala e del foyer. Nel 1937, Il fallimento della società proprietaria, portò alla vendita all'asta dell'immobile che venne rilevato dal Banco di Sicilia e successivamente ceduto alla società facente capo all'industriale Giorgio Sanguinetti. La sala fu provvisoriamente ridotta ad uso cinematografico, poi utilizzata dal Governo militare alleato nel dopoguerra, per continuare l'attività sino al 1956, quando venne definitivamente chiusa. La ripresa delle attività al Politeama avvenne parecchi anni più tardi, in seguito alla mutata situazione complessiva delle sale teatrali cittadine. 


Trieste, Teatro Nuovo (foto archivio Comune di Trieste)

La demolizione, decisa nell'estate del 1962, del Teatro Nuovo di via Giustiniano, incompiuto edificio facente parte della Casa centrale del Balilla (1934), portò ad un importante intervento economico da parte della direzione del Lloyd Adriatico di Assicurazioni finalizzato a ridare una sede al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia che operava da anni nel dismesso teatro. Dopo la demolizione del 1962, effettuata per realizzare la nuova sede RAI, la programmazione delle stagioni di prosa dello Stabile Regionale trovò provvisoriamente posto (protraendosi sino agli anni Ottanta) negli spazi funzionali, ma ridotti, del “Teatro Auditorium”, ex “salone dei rapporti” della Casa del fascio di Trieste (ora Questura).


Trieste, ex Casa del Fascio, ora Questura; edificio sede della sala dell' Auditorium (foto Carlo Nicotra)

L'operazione avviata dal Lloyd nel 1967 con l' acquisto, dagli eredi Sanguinetti per la somma di 150 milioni di lire, dell'edificio di Viale XX Settembre, proseguì con la realizzazione degli interventi necessari per riportare il Politeama all'uso teatrale. I lavori, progettati, come nei restauri del 1928, dall'architetto Umberto Nordio ed eseguiti dall'impresa Edile Adriatica, facente capo allo stesso Lloyd proprietario, vennero ultimati in circa un anno, consentendo di inaugurare la struttura restaurata il 9 giugno 1969. Nell'occasione, tra le altre opere eseguite, venne rifatto il piano inclinato della platea e furono sostituite le sedute delle gallerie, vennero recuperati gli spazi, situati a livello Viale, della vecchia mensa comunale, per adibirli a falegnameria e laboratori scenografici. Nel 1989, dopo venti anni di gestione operata dal Teatro stabile di prosa per conto del Lloyd Adriatico, il Politeama venne acquistato dal Comune di Trieste con il sostegno economico di uno specifico contributo regionale e venne dato il via ad una nuova lunga serie di interventi volti a modificare l'estetica e la funzionalità dell'edificio. Le opere di riqualificazione da eseguire, che comprendevano gli adeguamenti edilizi ed impiantistici relativi alle intervenute normative di sicurezza sui locali di pubblico spettacolo e una serie di interventi atti a migliorare sia la fruibilità da parte del pubblico, che il funzionamento delle attrezzature teatrali, vennero pianificate con uno studio di fattibilità redatto, nel 1994, dallo studio di architettura Celli e Tognon; le opere previste, suddivise in diversi lotti, in gran parte gestiti direttamente dagli uffici tecnici del Comune, iniziarono poco dopo l'approvazione dello studio di fattibilità, per protrarsi sino al 2007. ll lotto di maggiore impatto, che rese necessaria la chiusura del teatro dal luglio del 1999 all'aprile del 2001, prevedeva un importo di oltre otto miliardi di lire; fu progettato dagli architetti Luciano Celli e Marina Cons e realizzato dall'impresa Nostini di Roma. Le condizioni nelle quali si svolsero i lavori, ed in particolare la gestione della tempistica degli interventi, furono causa di un decennale contenzioso tra impresa esecutrice e Comune di Trieste. 


Politeama Rossetti, ingresso a livello platea /foyer e piano superiore con la sala Bartoli  (foto Carlo Nicotra) 

Alla conclusione definitiva delle opere, il Politeama si ritrovò con due nuove funzionalità che si andavano ad aggiungere alla sala principale da 1530 posti: un secondo spazio per spettacoli, dedicato all'ex sindaco Gianni Bartoli, che con i suoi 128 posti venne riservato soprattutto alla programmazione di drammaturgia contemporanea e il “Cafè Rossetti”, un ristorante in grado di accogliere 100 persone, situato al pianterreno a livello Viale ed organizzato per far coesistere l'attività di ristorazione a piccoli spettacoli e concerti (per la sua realizzazione si rese necessario lo sbancamento, quasi integrale, effettuato nel 1999, dello spazio della platea). 



Politeama Rossetti, lo sbancamento della platea (1999) per la realizzazione del "Cafè Rossetti"

Oltre alla realizzazione dei complessi adeguamenti tecnologici e di sicurezza, il restauro degli spazi della platea e delle gallerie segnò una particolare caratterizzazione estetica con gli abbinamenti cromatici di intense tonalità di blu e rosso alternate ai decori delle colonne in foglia d'oro. La volta sopra alla platea, decorata con il cielo nuvoloso opera del pittore scenografo Alessandro Starc, fu attrezzata con 1614 punti luminosi in fibra ottica riproducenti il cielo stellato.



Politeama Rossetti, la sala restaurata dopo i lavori del 1999-2001 (foto archivio del Comune di Trieste)







lunedì 16 aprile 2018

Trieste Liberty


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palazzo Terni Smolars
Trieste, casa Terni - Smolars, Romeo Depaoli 1906, particolare della facciata (foto Carlo Nicotra)

Nella cosmopolita Trieste di inizio Novecento, caratterizzata dall'impetuosa crescita urbana che ampliava e modificava l'edificato esistente arricchendo la città di nuovi grandi edifici dai compositi apparati eclettici, trova luogo lo sviluppo di un'architettura che, richiamando le matrici culturali dell' “Arte Nuova”, l'arte totale che in quel periodo raggiungeva, in Europa, il suo apice, si poneva come un ulteriore elemento di rottura della pur consolidata morfologia neoclassica sette-ottocentesca cittadina. L' “arte”, fenomeno culturale che traeva ispirazione e forza vitale dagli elementi naturali ricostruiti con dinamici e raffinati schemi lineari e nell'espressività dei materiali prodotti dalle nuove industrie (ferro, vetro, ghisa, maiolica), pur investendo l'intero panorama delle arti applicate, troverà soprattutto nell'architettura la forza e la capacità di rappresentare il nascente linguaggio internazionale. Essa assumerà, nel contesto della società europea fin de siècle, la denominazione di Art Nouveau in Belgio ed in Francia, Modern Style in Gran Bretagna, Jugendsil in Germania, Sezessionstil in Austria, mentre verrà definita stile floreale e successivamente Liberty, in Italia. Al di là delle varie accezioni linguistiche e delle diverse impostazioni legate alle specificità locali, il nuovo stile si affermava, nell'ampio e culturalmente vivace ambito territoriale europeo dell'epoca, enunciando alcuni principi che diverranno trainanti nell'evoluzione nel pensiero artistico ed architettonico del primo Novecento. 



                  Frontespizio di Wren's City Churches (1883) di A.H.Mackmurdo, 
                  indicato quale uno dei manifesti fondanti  dell'Art Nouveau

A tale proposito da ricordare, all'interno del vasto contesto culturale attinente, la reinterpretazione del valore sociale delle arti effettuata, in Inghilterra, da William Morris (1834-1896), le opere dell'artista inglese Arthur Heygate Mackmurdo, (1851-1942), il prematuro modernismo architettonico dello scozzese Charles Rennie Mackintosh (1868-1928) e negli Stati Uniti, i progetti di Louis Henry Sullivan (1856-1924) che porteranno alla nascita del concetto di architettura organica evolutosi poi nell'opera del suo allievo, Frank Lloyd Wright (1867-1959). 


Bruxelles, Hotel Tassel, Victor Horta 1893

Parigi, rue de la Fontaine, Castel Bèranger, Hector Guimard 1898

Tra i centri europei che svilupparono i nuovi presupposti artistici con maggiore vitalità, troviamo Bruxelles ove, contestualmente alle teorizzazioni di matrice Arts and Crafts di Henry van de Velde (1863-1957), l'architetto-artista Victor Horta interpretava, da precursore, le potenzialità espressive dell' “arte totale” progettando l'Hotel Tassel (1893), la casa Solvay (1895-1900) e la Maison du Peuple (1896-99), Parigi, ove Hector Guimard esplorava con le sue opere (Castel Béranger 1898), le teorie di Eugène Emmanuel Viollet-le Duc fondendole con le linee organiche importate dal Belgio ed inventando personalissime soluzioni spaziali (Castel d'Orgeval 1905) e Barcellona, ove il Modernismo Catalano, unitamente all'esuberanza stilistica di Antoni Gaudì (1852-1926), utilizzava il linguaggio proprio dell'Art Nouveau, assieme ad un particolare eclettismo storicista, per incidere profondamente sul volto della città. Nel contempo a Vienna la Sezession, seguita da un gruppo di artisti che idealizzavano la Gesamtkunstwerk, l'opera d'arte totale, si inseriva nel contesto dei profondi cambiamenti che caratterizzavano la capitale dell'impero asburgico tra il XIX ed il XX secolo, mentre nell'Europa settentrionale, ai margini del centro storico di Riga, si concretizzavano le esperienze architettoniche Art Nouveau di Michail Osipovič Ejzenštejn e di altri architetti lettoni (Elizabetes iela 10b 1903) e si affermava la romantica plasticità nordica espressa da Eliel Saarinen nel progetto della stazione ferroviaria di Helsinki (1910-14).


M.O. Ejzenstejn
Riga, edificio in Elizabetes iela 10b, Michail Osipovič Ejzenštejn 1903 (foto Carlo Nicotra)

L'evoluzione funzionalistica dell'arte operata nei contesti culturali più attivi, quali ad esempio la Vienna di Otto Wagner (1841-1918) e di Adolf Loos (1870-1933), e l' Olanda di Hendrik Petrus Berlage (1856-1934), costituirà, inoltre, uno degli elementi storici che porteranno qualche decennio più tardi, alla sviluppo del razionalismo ed alla nascita della Bauhaus di Walter Gropius. A Trieste, il nuovo stile approda con le caratteristiche proprie portate dalla sua natura di ponte tra la cultura italica e quella mitteleuropea; le composite matrici Liberty non rimangono però delegate, come in altri contesti urbani, nelle periferie residenziali o circoscritte a specifiche tipologie edilizie, ma penetrano con decisione nelle aree cittadine maggiormente rappresentative. 


ex pescheria
Trieste, edificio della vecchia pescheria, Giorgio Polli 1913 (foto Carlo Nicotra) 

Sulla Riva Grumula Giorgio Polli, attivissimo esponente dell'eclettismo cittadino (Monte di Pietà 1902, palazzo Artelli 1905, palazzo Parisi 1909), indulge in scelte progettuali ove, l'organizzazione degli spazi adibiti alla vendita e l'utilizzo in forma espressiva e palese dei nuovi materiali (ferro ghisa e cemento armato), danno all'edificio, pur sostanzialmente eclettico, della nuova pescheria (1913), un' immagine che si adatta alle forme della nuova arte e alla sua destinazione funzionale. 


Trieste, le tre navate della vecchia pescheria e le strutture a vista in cemento armato in una foto d'epoca.  

Saranno proprio le nascenti attività commerciali, collocate nel centro cittadino, a costituire un'occasione di manifestazione artistica del Liberty; il diverso utilizzo tra i residenziali piani superiori degli edifici e i commerciali pianoterra e mezzanino, porteranno ad una conseguente scissione dei linguaggi architettonici. 
Trieste,  palazzo Dettelbach, Giacomo Zamattio 1910 e le decorazioni di Pietro Lucano

Troviamo un caso palese di questa suddivisione formale nel palazzo Dettelbach (ora Upim) di Giacomo Zamattio (1910), ove all'impianto compositivo classicista dei prospetti, si contrappone, nei due livelli più bassi, la decorazione di gusto secessionista operata dall'architetto pittore triestino Pietro Lucano. 


Vienna, Ankerhaus, Otto Wagner 1895 (foto del 1897)

Il tema del volume murario pieno dei livelli superiori, contrapposto alle masse della base edilizia, svuotata dalle specchiature di ampie superfici vetrate, introdotto nel 1895 da Otto Wagner nel progetto dell'edificio multifunzionale dell'Ankerhaus sul Graben viennese, diviene ricorrente in molti palazzi dell'epoca, ove all'apparato architettonico viene richiesta la chiara percezione della separazione delle funzioni. 



Trieste, casa Terni - Smolars, Romeo Depaoli 1906 (foto Carlo Nicotra)

A Trieste ritroviamo questa tipologia in due degli edifici progettati da Romeo Depaoli; nella casa Terni-Smolars (1906) sita tra via Mazzini e Piazza della Repubblica, l'architetto organizza le facciate con ampie vetrate al pianoterra ed al mezzanino, animando le superfici piene con la ricchezza plastica dei motivi ornamentali, mentre nel vicino Corso Italia, nella casa Polacco (1908) egli evidenzia pure, con vuoti architettonici vetrati, la presenza delle importanti attività commerciali fronte strada. Ai piani superiori, residenziali, l'apparato decorativo riprende il tema, già presente nel palazzo Terni, dell'ampio finestrone rotondo circondato da due marcate figure femminili (opera dello scultore triestino Romeo Rathmann)


Trieste, casa Polacco, Romeo Depaoli 1908 (foto Carlo Nicotra)

Ma i principi artistici e funzionalisti della Wagnerschule si manifestarono in modo determinante, nell'ambito cittadino, con la produzione degli architetti formatisi nel contesto culturale viennese quali Max Fabiani, attivo collaboratore di Otto Wagner dal 1894 al 1898, Josip Costaperaria (1876-1851) e Giorgio Zaninovich (1876-1946). 

Trieste, Narodni Dom e Hotel Balkan di Max Fabiani  in un'immagine d'epoca.

Max Fabiani, tavola del progetto per il Narodni Dom e Hotel Balkan (archivio del Comune di Trieste)

Max Fabiani nel 1902 elaborò, per la comunità slovena triestina, il progetto del centro polifunzionale del Narodni Dom e Hotel Balkan, situato nell'attuale via Filzi, mentre nel 1905, contestualmente allo studio della rivoluzionaria struttura educativa dell'Urania collocata sul Ring viennese (inaugurata nel 1910), progettava la casa Bartoli di piazza della Borsa. 


Trieste, casa Bartoli, Max Fabiani 1905, particolare.

Con la distinzione netta tra gli spazi vetrati della parte basale ed i piani superiori decorati a graffito fitiforme, l'edificio incarnava appieno i modelli wagneriani e proponeva assetti tipologici che a Trieste troveranno ampio seguito. 



Trieste, casa Bartoli, Max Fabiani 1905. Prospetto su Piazza della Borsa. 

Da attribuire a Max Fabiani pure casa de Stabile tra via Belpoggio e la Riva Grumula (1905-06), ove l'architetto combinava linguaggi proiettati verso la modernità, pur non scevri da componenti storiciste, con elementi tipici delle sue precedenti architetture. Di Josip Costaperaria ricordiamo il progetto tardosecessionista, redatto assieme all'austriaco Osvald Polivka, della sede della boema Živnostenska Banka (1914) poi Banca d' Italia e d'America di via Roma, mentre a Giorgio Zaninovich sono da attribuire i progetti per il complesso di case per appartamenti in via Commerciale (1906-07) e dell'attigua casa Valdoni (1907-08).


Trieste, casa Valdoni di Giorgio Zaninovich 1907-08, particolare della facciata su via Commerciale (foto Carlo Nicotra)

Al di là delle influenze “viennesi”, nel panorama del Liberty triestino troviamo, nel 1907, il significativo progetto della casa Viviani-Giberti (viale XX Settembre) del milanese Giuseppe Sommaruga. Allievo anti accademico ed anti classico di Camillo Boito all'
Accademia di Belle Arti di Brera, egli si staccò dagli stili storicisti affermandosi nel panorama del Liberty milanese con le sue architetture plastiche e funzionali tra le quali spicca la realizzazione del palazzo Castiglioni (1903). 



Trieste, casa Viviani - Giberti, Giuseppe Sommaruga 1907 (foto Carlo Nicotra)

Nel suo progetto triestino, il Sommaruga riportò le sue esperienze lombarde creando un blocco residenziale di cinque piani ove, nei due livelli inferiori, trovavano posto una sala di spettacolo (teatro Filodrammatico, poi cinema) un “Cafè Concerto” e un ristorante. La sala teatrale (teatro Filodrammatico), venne inaugurata nel Natale del 1907, mentre le altre sale vennero solo parzialmente realizzate. Il prospetto principale, animato da un attento apparato decorativo, venne rifinito da un particolare intonaco in pietra artificiale; al pianoterra, l'accesso alla sala teatrale era evidenziato dalla presenza di due cariatidi, realizzate pure in pietra artificiale, con le quali lo scultore (Romeo Rathmann) riprendeva il tema delle due figure femminili, contrapposte ad un vuoto architettonico, già praticato nei palazzi Terni e Polacco.

Trieste, casa Viviani - Giberti, le cariatidi di Romeo Rathmann (foto Carlo Nicotra)


giovedì 15 marzo 2018

Trieste eclettica - (parte seconda)


Municipio di Piazza Unità
Trieste, piazza Unità e palazzo municipale, G.Bruni 1873 (foto Carlo Nicotra)

Se il polo costituito dal porto, dal parco ferroviario e dalla relativa stazione costituiva un elemento aggregatore per la realizzazione di una delle nuove “porte” della città, sul lato orientale dell'arco costiero urbano si andava configurando, contestualmente al notevole sviluppo delle infrastrutture industriali e cantieristiche, un ulteriore terminale di trasporti via terra, collegato alla ferrovia Transalpina e all'Istria, che faceva capo alla stazione ferroviaria di Sant'Andrea, realizzata nel 1887 dalle Ferrovie dello Stato austriache e sostituita, nel 1906, dalla Triest Staatsbahnhof progettata da Roberto Seeling. 


Trieste, stazione ferroviaria di Sant'Andrea, R.Seeling 1909.

Contestualmente alle nuove infrastrutture ferroviarie si gettavano le basi del secondo polo portuale cittadino, la cui realizzazione divenne assolutamente necessaria in seguito all'aumento dei traffici marittimi e alle inadeguatezze funzionali emerse dopo il completamento (nel 1887) del progetto di Paulin Talabot. La realizzazione della nuova infrastruttura, collocata nella zona costiera prospiciente l'area di Sant'Andrea sulla traccia del progetto di massima redatto da Eugenio Geiringer, venne avviata nel dicembre del 1897, e interrotta all'inizio della prima guerra mondiale. Assieme allo sviluppo dei due contrapposti centri produttivi e commerciali, la cui contrapposizione logistica aveva causato non pochi inconvenienti alla struttura urbana della città (non ultimo quello della linea ferroviaria di collegamento che correva lungo l'intero fronte mare cittadino), proseguiva il dibattito relativo alla gestione dello sviluppo urbano e venivano riproposti alcuni temi specifici, quali la redazione ed approvazione di un nuovo piano regolatore generale (Piano Lorenzetti del 1880), la questione della Città Vecchia e la sistemazione definitiva della piazza Grande, resa urgente in seguito all'interramento, avvenuto tra il 1858 ed il 1863, del medievale porticciolo del Mandracchio. 



Trieste, piazza Grande e Mandracchio nel 1806, prima degli interramenti (archivio del Comune di Trieste)

Il lungo dibattito avviato dalle autorità cittadine in merito alla tipologia da adottare per la realizzazione della nuova piazza, venne vanificato, come in tanti altri casi, dall'intervento, peraltro risolutore, dei capitali privati; in questo caso le Assicurazioni Generali, proprietarie di uno dei maggiori edifici che affacciavano sull'allora piazza San Pietro, il neoclassico palazzo Stratti, divennero il principale promotore delle proposte per la definitiva sistemazione urbanistica dell'area. 


Trieste, piazza dell' Unità, ex piazza Grande; a sinistra il palazzo della Prefettura (1901), il neoclassico palazzo Stratti (1839), il palazzo Modello (1871). Al centro il palazzo del Municipio (1873), a destra il neoclassico palazzo Pitteri (1780) l'ex hotel Garni (1873) e non visibile il palazzo del Lloyd  del 1880. (foto Daniela Durissini)

Dopo la conclusione di una complessa querelle tra i vari soggetti interessati, si arrivò alla soluzione definitiva, ove lo spazio urbano si apriva sul mare circondato, su tre lati, da una importante cornice architettonica. Sui due lati contrapposti si collocavano i neoclassici palazzi Stratti e Pitteri, l'Hotel Garni (poi Vanoli), commissionato dalle Assicurazioni Generali e progettato nel 1873 da Eugenio Geiringer e Giovanni Righetti lungo la linea di fabbrica dell'adiacente palazzo Pitteri, il palazzo del Lloyd Austro-ungarico, realizzato tra il 1880 ed il 1883 su progetto di Heinrich von Ferstel al posto della vecchia pescheria e il palazzo della I.R. Luogotenenza (ora palazzo della Prefettura), edificato tra il 1901 ed il 1905, con accenti architettonici neo cinquecenteschi, dall'architetto viennese Emil Artmann.


palazzo ex Luogotenenza
Trieste ex palazzo della I.R.Luogotenenza, particolare della facciata sulla piazza (foto Carlo Nicotra)

Lo sfondo architettonico principale della piazza veniva però dato dal nuovo palazzo comunale che riutilizzava lo stabile della vecchia sede magistratuale quale sede principale del Municipio. Nell'edificio, realizzato tra il 1873 ed il 1875 su progetto di Giuseppe Bruni, l'apparato decorativo recuperava accenti architettonici e decorativi di ispirazione sansoviniana in eclettica commistione con citazioni del manierismo germanico; la scelta voleva identificare, in uno dei suoi edifici pubblici più rappresentativi, Trieste quale città di confluenza tra la cultura veneta e quella mitteleuropea. 


Municipio - facciata
Trieste, palazzo municipale, dettaglio della facciata sulla piazza (foto Carlo Nicotra)

A completamento delle quinte architettoniche della piazza fu pure ubicato, sul sito della demolita chiesa di San Pietro, il palazzo Modello, progettato sempre dal Bruni nel 1871 e completato nel 1873 con caratteristiche architettoniche ispirate ad un ordinato eclettismo.


Palazzo Modello
Trieste, la facciata laterale del palazzo Modello a fianco del neoclassico palazzo del Tergesteo (foto Carlo Nicotra)

Ma fu l'intera città ad essere soggetta, tra la seconda metà del secolo XIX e lo scoppio della prima guerra mondiale, ad una profonda opera di trasformazione del suo tessuto urbanistico e nella sua immagine architettonica conseguente alle forti spinte speculative condotte dagli investitori immobiliari. In questo contesto economico e culturale verranno realizzati molti importanti edifici che, con le loro “nuove” architetture contribuiranno a modificare il tessuto dell'edificato ed a identificare la stagione eclettica quale periodizzazione evolutiva del periodo neoclassico. 


Palazzo Revoltella
Trieste, palazzo Revoltella, F.Hitzig 1853 (foto Carlo Nicotra)

Da ricordare, tra tanti altri importanti esempi, la realizzazione del palazzo Revoltella che Friedrich Hitzig, poi autore del casino Ferdinandeo (1856-58) sul colle del Farneto, progettò nel 1853 utilizzando caratteri neo rinascimentali di derivazione francese associati agli inserti neo greci del peristilio, le forme neo bizantine della chiesa serbo ortodossa di San Spiridione che Carlo Maciachini realizzò nel 1859-69 nel contesto del Canal Grande, gli inserti liberty della viennese Wagnerschule di Max Fabiani concretizzati negli edifici dell'hotel Balkan (1905) e casa Bartoli in piazza della Borsa (1905-06) e la “basilicale” struttura a tre navate in cemento armato e ferro che Giorgio Polli utilizzò nel 1913 per realizzare le navate del salone delle vendite della nuova pescheria, sul fronte mare del Borgo Giuseppino.


chiesa di San Spiridione
Trieste, chiesa ortodossa di San Spiridione, C.Maciachini 1859 (foto Carlo Nicotra)

Nel panorama degli edifici pubblici da ricordare certamente l'imponente Palazzo delle Poste e Telegrafi, realizzato tra il 1890 ed il 1894 sul sito già occupato dalla vecchia dogana, all'interno del Borgo Teresiano; l'architetto austriaco Friedrich Setz ideò il grande edificio dell'amministrazione asburgica conciliando le istituzionali esigenze funzionali e rappresentative con le caratteristiche formali del palazzo classico italiano. 



Trieste, Palazzo delle Poste e Telegrafi, F. Setz 1890, xilografia del prospetto principale. 

Un ultimo cenno, che sfiora appena l'ampio ed articolato contesto delle architetture eclettiche triestine da citare, va rivolto all'opera di Giovanni, Ruggero ed Arduino Berlam, tre generazioni di una famiglia di architetti, attivi in città tra il 1847 ed il 1946. 


Berlam -palazzo Gopcevich
Trieste, palazzo Gopcevich, G.Berlam 1850, particolare della facciata (foto Carlo Nicotra)

Giovanni progettò nel 1850 per Spiridione Gopcevich, un edificio che affacciava, sul Canal Grande, un prospetto che, ricco di motivi ornamentali romantici ispirati in parte dal committente e in parte ripresi dal Palazzo Ducale di Venezia, si poneva quale interessante eccezione al gusto architettonico predominante. Il connubio professionale tra Ruggero, figlio di Giovanni, ed il figlio Arduino, generò una serie di opere architettoniche che si pongono tra i principali esempi dell'eclettismo triestino. Ricordiamo il palazzo Vianello, che, realizzato nel 1904 in piazza della Caserma (l'attuale piazza Oberdan), contrapponeva una struttura in cemento armato, ancora inconsueta, ad una facciata riccamente decorata da motivi scultorei, l'importante palazzo sede della Riunione Adriatica di Sicurtà che, realizzato tra il 1909 e il 1914, costituirà un'importante quinta architettonica di matrice neo rinascimentale della piazza Nuova (ora piazza della Repubblica) e la sinagoga (1908-12) che, caratterizzata nelle sue tre facciate da influssi stilistici di derivazione orientale, costituiva, nella sua complessità strutturale, uno dei rari casi di mediazione tra un modello ad impianto basilicale e un sito dedicato al culto e al cerimoniale ebraico. 


Trieste, Sinagoga, Ruggero ed Arduino Berlam 1908.

Sarà Arduino dopo la morte del padre, con la costruzione del palazzo Aedes, tra il 1926 ed il 1928, a realizzare un'opera capace di porre l'accento sulla capacità dell'eclettismo di assorbire ed utilizzare modelli di eterogenea natura; l'edificio, denominato anche “grattacielo rosso”, situato nel punto d'incontro tra le rive ed il Canal Grande e prospiciente la facciata settentrionale del neoclassico palazzo Carciotti, riprendeva, con la sua massiccia mole realizzata in mattoni rossi a vista, l'idea spaziale e geometrica delle nuove strutture d'oltreoceano; l'abbandono nella realizzazione dell'opera, di tutti i motivi formali di derivazione classica, costituirà un'apertura, nel contesto culturale cittadino, per le architetture del nascente Movimento Moderno.

Trieste, palazzo Aedes, A.Berlam 1926, particolare della parte sommitale.