venerdì 16 febbraio 2018

Trieste e il neoclassico

palazzo Carciotti

Trieste. Palazzo Carciotti, prospetto principale (foto Carlo Nicotra)

Il nuovo assetto territoriale venutosi a creare dal 1815, successivamente al Congresso di Vienna, riportava Trieste, dopo la parentesi napoleonica e la provvisoria annessione alle Provincie Illiriche, sotto il controllo dell'impero Asburgico. La riconferma del ruolo di principale emporio e porto austriaco favorì la ripresa economica e commerciale, il repentino, consistente, incremento demografico interno ed il riavvio di quella forte corrente immigratoria proveniente dai territori dell'impero e dai più ampi ambiti mediterranei ed europei, già vista in periodo teresiano. L'impellente necessità di una rapida crescita urbana, congiuntamente alla conferma, da parte del governo austriaco, del precedente ordinamento napoleonico, che estendeva il diritto di acquisto, frazionamento e rivendita dei terreni edificabili a tutti i privati, diede avvio, alla realizzazione nella prima metà del secolo di una serie di nuovi borghi, aggregati alla città nuova già costruita, ad una profonda opera di ricostruzione ed ampliamento di quanto già edificato e alla conseguente nascita di una nuova, fortunata, classe di imprenditori. 


Trieste. Planimetria del 1912 di un' area di sviluppo urbano tra il Borgo Teresiano, la Città Vecchia e i nuovi borghi.  

La crescita urbana in adiacenza al Teresiano ed al Franceschino e la ripresa delle iniziative, atte a dotare il contesto urbano di adeguati supporti infrastrutturali (nel 1818 viene edificato l'Istituto dei Poveri, nel 1826 la nuova prigione, nel 1840 termina la costruzione del nuovo ospedale e all'esterno della città viene realizzato il nuovo cimitero di Sant'Anna) furono ulteriori stimoli per le imprese commerciali locali, ma anche continentali ed extraeuropee, per avviare crescenti e significative attività legate all'investimento immobiliare. Conseguentemente la città, nel suo impellente impegno volto a dotarsi di un adeguato tessuto residenziale e commerciale, scopriva la necessità di mostrare con segni evidenti e tangibili l'evoluzione della sua ricchezza, adottando a tal fine i linguaggi dell' urbanistica e dell' architettura utilizzati, negli ambiti di crescita urbana e nel medesimo contesto temporale, in Italia e nel resto dell'Europa. 


Claude-Nicolas Ledoux. 1785-1789. Progetto per una "Casa dei sorveglianti  del fiume" 

La cultura architettonica nascente, emersa dalle considerazioni “naturalistiche” esplicitate nel 1753 da Marc Antoine Laugier nel suo Essai sur l'architecture e dalle architetture “rivoluzionarie” di Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux, In Italia trovava riscontro nel pensiero funzionalistico e scientifico di Carlo Lodoli e Francesco Milizia e significativa evoluzione in seguito allo studio dei primi ritrovamenti archeologici ad Ercolano e Pompei (1719 e 1738), nell'opera di divulgazione operata da Anton Raphael Mengs e Johann Joachim Winckelmann e nelle visionarie riproduzioni grafiche di Giovanni Battista Piranesi.

Giovanni Battista Piranesi. Roma. 1761. Visione interna del Pantheon.

La particolare vocazione neoclassica per il rinnovamento architettonico ed urbano, esplicitata nel radicato neopalladianesimo veneto, dai pragmatici interventi romani di Giuseppe Valadier, nelle opere di Pietro Bianchi a Napoli di Leo von Klenze a Monaco, John Nash a Londra e Karl Friedrich Schinkel a Berlino, si prestava particolarmente a divenire il nuovo linguaggio atto ad accomunare lingue e culture di svariate origini nel contesto della emergente e dinamica realtà emporiale triestina ove, allo sviluppo del tessuto urbano, si aggiungeva una mirata caratterizzazione architettonica dei nuovi poli monumentali. 



Napoli. Pietro Bianchi 1816. Basilica neoclassica di San Francesco da Paola in piazza Plebiscito (foto Carlo Nicotra)

Nasceva così, dall'evoluzione dello schematico piano del Distretto Camerale, il complesso del Canal Grande - Piazza del Ponterosso; la prospettiva del canale, che entrava nel reticolo teresiano, assumeva quale scenografico elemento di chiusura, la nuova chiesa di Sant'Antonio progettata dall'architetto ticinese Pietro Nobile. 

chiesa di Sant'Antonio e Canale

Trieste. Canal Grande e chiesa di Sant'Antonio (foto Carlo Nicotra)


Il suo progetto, vincitore del concorso del 1808, utilizzava lo schema delle architetture classiche romane, Pantheon in primis, caratterizzando l'edificio con il monumentale pronao esastilo che allora si specchiava nelle acque del Canale. La fabbrica, che sostituiva la precedente chiesa barocca realizzata nel 1767, fu avviata nel 1828 per concludersi solo nel 1842. 

chiesa Sant'Antonio

Trieste. Chiesa di Sant'Antonio, particolare del pronao (foto Carlo Nicotra)


Nel frattempo, a poche centinaia di metri di distanza dall'imbocco del Canale, si andava strutturando un ulteriore polo monumentale cittadino, costituito dal complesso di piazze urbane che trovava fulcro architettonico nel nuovo palazzo della Borsa. L'edificio, progettato dall'architetto maceratese Antonio Mollari, venne realizzato tra il 1802 ed il 1806 su un lotto a pianta triangolare che necessitava, data la sua natura paludosa, di importanti opere di bonifica. 

palazzo della Borsa

Trieste. Palazzo della Borsa. Prospetto principale sulla piazza (foto Carlo Nicotra)


La facciata principale, che si proponeva, a scala urbana, quale terminale degli assi visivi obliqui che caratterizzavano i principali accessi viari alla piazza, era organizzata con un colonnato dorico, ispirato alle architetture del Vignola, completo di metope e coronato da un timpano; al nuovo edificio si affiancherà successivamente, quale completamento dell'organizzazione della piazza, l'imponente Palazzo del Tergesteo, progettato nel 1840 dall'architetto triestino d'origine belga Francesco Bruyn. 

Trieste. Piazza della Borsa con gli edifici della Borsa e del Tergesteo in una stampa del 1854 (archivio del Comune di Trieste)


Alla piazza della Borsa, la cui sagoma planimetrica trapezoidale raccordava l'orientamento ortogonale del Borgo Teresiano con la parte marginale della Città Vecchia, si collegava la piazza del Teatro (l'attuale piazza Verdi), ove la facciata postica del Tergesteo si confrontava con il prospetto monumentale del Teatro Nuovo. Matteo Pertsch, subentrato nel 1799 a Gianantonio Selva, primo progettista dell'edificio e già autore del Teatro La Fenice di Venezia, trovò ispirazione nell'opera di Giuseppe Piermarini, suo maestro all'Accademia di Belle Arti di Brera, organizzando la facciata sulle linee architettoniche neoclassiche che il Piermarini stesso aveva utilizzato nel progetto del Teatro alla Scala di Milano. Il Teatro Nuovo fu completato nel 1801 assumendo nel 1901 il nome definitivo di Teatro Comunale Giuseppe Verdi.

teatro Verdi

Trieste. Teatro Giuseppe Verdi. Prospetto principale sulla piazza (foto Carlo Nicotra)


Il terzo elemento urbano del nuovo “centro” divenne la piazza Grande (già piazza San Pietro e dal 1918 piazza dell'Unità), il cui sviluppo contribuì a cancellare definitivamente e completamente l'assetto portuale medievale e le testimonianze storiche ad esse collegate. Sul nuovo spazio, delimitato dal seicentesco palazzo magistratuale (rifatto nel 1871 dall'architetto Giuseppe Bruni), insistevano gli edifici neoclassici del palazzo Stratti, realizzato nel 1839 su progetto di Antonio Buttazzoni e del palazzo Pitteri (Ulderico Moro 1780), mentre permanevano, sino al 1871, le chiese medievali di San Pietro e Rocco.

Trieste. Piazza Grande. Palazzo Stratti e chiesa di San Pietro in un' immagine d' epoca


Immediatamente alle spalle del palazzo municipale, sul sito del vecchio edificio della Vicedomineria, Pietro Nobile realizzava nel 1815/1817 un palazzo per la famiglia Costanzi che, pur modificato nel 1840 da Valentino Valle, riuscì a conservare le sue austere caratteristiche neoclassiche originali. La piazza Grande assumerà il suo assetto definitivo, con la spettacolare apertura verso il mare del suo quarto lato e con il completamento della sua cornice architettonica, solamente dopo la seconda metà dell'Ottocento, in periodo di maturo eclettismo; nonostante i numerosi piani urbanistici predisposti in tal senso già dagli anni '20 dell'Ottocento, si diede il via all'interramento del porticciolo del Mandracchio appena nel 1858, nel 1872 veniva demolita la Locanda Grande, edificio che insisteva nell'ambito della piazza, mentre per l'eliminazione del giardino, che ancora occludeva la vista verso il mare, si doveva attendere l'inizio del secolo XX. 

frontemare

Trieste. Edifici neoclassici sul fronte mare. Da sinistra: palazzo Carciotti - Hotel de la Ville - chiesa di San Nicolò (foto Carlo Nicotra)


Si sviluppava, nel contempo, un ulteriore importante elemento del paesaggio urbano, che, analogamente alla Piazza Grande, assumerà aspetto compiuto e definitivo solo in periodo tardo eclettico; sulla linea di costa si stava infatti strutturando il significativo prospetto architettonico del “fronte mare” che si proponeva quale sito privilegiato per l'insediamento di nuovi, importanti edifici; tra questi, da ricordare, il palazzo aulico di rappresentanza che il commerciante greco Demetrio Carciotti fece edificare nel 1798. Il palazzo, che tuttora porta il nome del suo primo proprietario, fu progettato dall'architetto Matteo Pertsch e ampiamente modificato, in corso d' opera, dal ticinese Giovanni Righetti, sovraintendente alla costruzione. Il suo pregevole prospetto principale, organizzato con uno zoccolo di pietra bugnata sovrastato da sei colonne ioniche d'ordine gigante, un attico e la cupola di gusto neopalladiano, affacciava sulla riva del mare, mentre il suo lato settentrionale fiancheggiava la parte iniziale destra del Canal Grande. In adiacenza, sulla stessa linea di fabbrica, furono edificati l'albergo Metternich, poi chiamato Hotel de la Ville (Giovanni Degasperi 1839) e la chiesa di San Nicolò dei Greci, eretta nel 1782 e ristrutturata da Matteo Pertsch nel 1818. Sullo Scoglio del Zucco, situato all'estremità meridionale dell'arco costiero urbano, ritroviamo la Lanterna, un ulteriore progetto redatto in più fasi dal 1824 al 1831 da Matteo Pertsch.

Trieste. La Lanterna in una stampa della metà dell' Ottocento (archivio del Comune di Trieste)


L'opera, costituita da un fusto rastremato dell'altezza di m.33,50 chiuso alla sommità da un ballatoio a forma di capitello dorico, utilizzava come base la struttura tronco-conica appartenuta ad una delle fortificazioni portuali. 


Trieste. La Lanterna

Tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, in città vennero edificati altri importanti esempi riconducibili ai principi architettonici neoclassici dei quali ci rimane testimonianza; la Rotonda Pancera venne progettata da Matteo Pertsch (nome che puntualmente ricorre tra gli artefici del neoclassico triestino) tra il 1804 ed il 1806. 

Rotonda Pancera

Trieste. Rotonda Pancera (foto Carlo Nicotra)


Egli usufruì mirabilmente del lotto edificabile triangolare ideando un edificio nel quale l'angolo acuto, “arrotondato” da una struttura sorretta da quattro colonne in ordine gigante, generava una sorta di tempio semicircolare nel quale l'ordine ionico dei capitelli si contrapponeva al fregio in bassorilievo. 

Rotonda Pancera

Trieste. Rotonda Pancera. Particolare del fregio. (foto Carlo Nicotra)

Altri edifici si possono individuare nel contesto urbano del Borgo Giuseppino; tra questi la casa Mauroner Stock (Matteo Pertsch 1821), due palazzi in Piazza Venezia (Valentino Valle 1834 e Domenico Corti 1832) il palazzo Vivante (Domenico Corti 1842), ma anche due esempi di ville preesistenti allo sviluppo di quella parte della città: la villa Sartorio che, nel 1838, fu ristrutturata da Nicolò Pertsch, figlio di Matteo e la Villa Necker che, edificata nel 1782 nel contesto di un preesistente vasto giardino all'italiana (Vincenzo Struppi 1775) venne riprogettata alla fine del Settecento dal francese Champion, con accenti stilistici pre neoclassici. 

Trieste. Villa Necker ed il suo contesto in un immagine di I. Heymann del 1802 (archivio del Comune di Trieste)

Passata la metà dell'Ottocento, si verificò un generalizzato processo di modifica delle caratteristiche socio-culturali che avevano dato vita ai presupposti neoclassici; questa trasformazione, porterà alla progressiva perdita delle caratteristiche di linearietà e di purezza funzionale accolti dall'arte neoclassica e che il Laugier aveva indicato tra i fondamenti culturali dell'architettura. L'evoluzione, nel pensiero e nella materia, diverrà evidente e significativa anche a Trieste, ma questo fatto riguarderà il prossimo capitolo.

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